Oggi Bruno Bolchi raggiunge la bella età di 82 anni. Per chi non lo sapesse, il giocatore vanta una gloriosa militanza nelle file dell’Inter, qualche presenza in Nazionale e un anno pure nell’Atalanta (1964-65). È stato un calciatore roccioso, mediano vecchia tempra, e poi allenatore di vaglia. Fatto sta che Bolchi è universalmente noto per una storia che riguarda i ragazzi d’ogni epoca e regione. Sentite qua.
Millenovecentosessantuno: Gagarin è il primo uomo nello spazio, e gli americani accusano il colpo. Giusto un mesetto dopo un altro sovietico, Valerij Brumel’, saluta l’asticella a due metri e ventidue: certo il compatriota era andato più in alto, ma agli americani quel nuovo affronto basta e avanza. Mica per niente in quei giorni o giù di lì negli States si diffondono i sit-in degli studenti di colore, e da allora nelle università a stelle e strisce niente è più come prima. Millenovecentosessantuno: l’Atalanta chiude il campionato con un onorevole nono posto, e i ragazzi italiani scoprono le figurine dei calciatori. D’accordo, non sarà la scoperta della penicillina, ma certo le figurine lasciano il segno, soprattutto nelle tasche di quei genitori che il boom economico non l’avevano ancora realizzato. Già, le figurine dei calciatori. Noi ragazzi le avremo anche scoperte, ma chi le ha inventate? Domanda facile, lo sanno tutti: i Panini. Quattro fratelli di Modena che evidentemente non si danno al salto in alto, non sognano il pianeta azzurro da un oblò, men che meno se ne stanno in ufficio come la gran parte di noi. No, da sempre i Panini si accaniscono dietro a una visione tutta loro: calciatori riprodotti a colori inseriti in pratiche bustine a portata di tutti. Roba da matti, da non raccontare in giro. Anche perché, provate a pensarci, in quanto a sfottò i nostri eroi avevano già dato, per via di un cognome così sleale che i compagni li convocavano in cortile solo in caso di improvviso languore. D’accordo, le figurine: ma come ci sono arrivati i Panini a inventarle? Una ventina d’anni fa ho avuto il privilegio di chiederlo a Franco Cosimo Panini in persona. Il quale mi ha raccontato una storia così incredibile da essere certamente vera. I Panini acquisiscono una fotografia dell’interista, poi partono alla ricerca di un qualche laboratorio in grado di colorare a mano il negativo di Bolchi Bruno, soprannominato Maciste da Brera per via del giro cosce e della grinta. Tra parentesi: il calciatore conosceva i miei genitori, me lo ricordo in salotto, immenso (Bolchi, non il salotto). Ma torniamo a bomba. Gira che ti rigira, in quel di Venezia i fratelli rintracciano un artigiano in grado di risolvere la faccenda, uno che aveva capito per tempo che i turisti in laguna le cartoline le preferivano all’acquerello. Prova che ti riprova, la meraviglia si compie: la prima figurina prende vita, con i colori ancora incerti e l’improbabile riquadro giallo da icona bizantina. Il seguito è tutto in discesa: le figurine dei calciatori spopolano, l’invenzione dei poeti di Modena – come chiamarli, sennò – fa il giro del mondo, Panini diventa un colosso dell’editoria. Duemilaventidue: provate a chiedere a un ragazzo, e non risparmiate qualche adulto, mi raccomando, chi sia Valerij Brumel’. Vi assicuro occhi sbarrati. Figuriamoci se non conoscono Gagarin, direte voi: niente, silenzio stellare. Se proprio volete farvi del male, provate con sit-in, ma attenti che rischiate di inciampare nella moquette. Infine, provate a sussurrare “figurine”: fidatevi, gli occhi di grandi e bambini s’accamperanno di gioia e meraviglia.
L‘impresa di Gagarin rivista artisticamente 50 anni dopo.
3 Commenti
Colgo l’occasione per salutarti, Claudio, visto che non lo faccio, ahimè, da tempo. Io non ho vissuto l’epoca “paniniana” di Bolchi e Pizzaballa, ma ti posso assicurare che negli anni ’80 le figurine non erano meno vive.
Ricordo, in particolare, i giochi contro il muro e nell’atrio delle elementari, ognuno col suo bel paccone di profumati adesivi da mettere in gioco, come preziose fiches.
La più rara un anno fu quella di Giuseppe Baresi dell’Inter. Una sera, lo ricordo ancora bene, la trovai, gelida e irreale, in un pacchetto preso all’edicola in mezzo alla piazza di Rovetta. Non ci credevo! Era proprio lui…il Beppe! Quanto poteva valere quella figurina? Lo scudetto cromato della Juve? Ma va! Di più! 10 scudetti? Platini e Boniek? Molto di più! Platini, Maradona e Zico? Alla fine tagliai la testa al toro e la incollai all’album. E fine dei patemi…:-)
Bello sentirti, Tiziano. E bello il tuo ricordo, che nonostante la differenza di età si sovrappone con i mio. Anch’io, infatti, giocavo contro il muro, oltre che a lanciarle a distanza, anch’io ebbi al tempo la mia figurina totem. Non un calciatore, ma un ostacolista (album Olimpiadi), esattamente Willie Davenport. Non ce l’aveva nessuno! Avrei potuto scambiarla con una tonnellata di figurine, ma non ci pensai neanche per sbaglio. L’importante era che il mondo sapesse. Proprio come te con il Baresi Giuseppe, in effetti.
Chissà quanto potrebbe valere la figurina numero uno, quella lavorata a mano 60 anni fa. Altro che Pizzaballa!
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