In fuga? Eccome. Ma in fuga da cosa? Ecco, non lo so. So che sto correndo in salita, ogni tanto mi fermo che il cuore fa la sinfonia. Mi abbasso a cercare il fiato e intanto guardo indietro, c’è il vuoto, troppo vuoto, si vede che il pericolo sta davanti, è lì che mi aspetta bello pacifico. Faccio tutto io, faccio. Brutta storia. Ecco, se ci penso non so bene come è andata. A un certo punto ho capito che dovevo saltar fuori di casa. Sì, saltare. Non ho neanche chiuso la porta, per dire. O almeno non mi ricordo. Era per quel rumore, mi dico mentre torno a correre. Mi dava il tormento. Come sbuffare nell’imbuto se tieni il dito sotto: il fiato ti torna indietro con quell’aria che sembra delusa di rimestare nel poco. Ti senti come se l’imbuto ti cattura. Io con l’imbuto non voglio averci a che fare. Hai voglia a dire che l’imbuto non fa niente. Balle! Tu sei lì combinato come si deve e quello ti fa stare dentro, decide lui. Ti travasa, ecco cosa. E tu mica sai dove ti infila, lo scopri solo quando ci sei finito dentro. Non fidarti dell’imbuto, lo diceva sempre mio nonno: il mestolo ha più rispetto, divide un po’ per uno, è più onesto, lo vedi arrivare, così decidi tu se è il caso. No, quando tocca all’imbuto capace che è già tardi. Anzi, sicuro che è tardi. Perché se c’è un imbuto vuol dire che te sei un liquido, punto. Allora ci pensano loro al recipiente che gli va bene. Che poi, se avanza qualcosa del tuo liquido, cosa fanno del resto, secondo voi? Ecco, a me basta la domanda per darmela a gambe. Infatti. Strano che non vedo nessuno, nessuno che scappa, voglio dire. La maestra me lo diceva sempre: tu ci arrivi prima degli altri, Sergio, ma poi ti blocchi. Ho provato a spiegarglielo: fino alla acca tutto bene signora maestra, che poi è muta quindi cosa ci vuole. Ma è quella i di imbuto che mi fa paura, figurarsi se ce la faccio a guardare la elle che viene dopo. La elle di luna, sì. E lei sorrideva con gli occhi, tipo i bambini quando dormono. Proprio come me adesso.
2 Commenti
“Quando tocca all’imbuto capace che è già tardi”.
Niente di più vero. Ho scritto una canzone nel 2018 (poco capita o ovviamente vilipesa, in favore di “quelle belle” di 15 anni prima), intitolata “Ol pedriöl”, che raccontava di come “ciò che deve accadere, accadrà” (“Eri con me”, Franco Battiato).
Alla fine, ci piaccia o no, finiamo con il fare (e con l’essere) ciò che facevano (ed erano) i nostri genitori e i nostri nonni. Compreso, ovviamente, il lasciare questo mondo.
Hai ragione eccome, carissimo Tiziano. Sia per quel che riguarda gli avi, dai quali è parecchio difficile smarcarsi, e si finisce a pestar le stesse orme senza neanche accorgersi del danno; sia nel rivendicare il valore di quei tuoi testi che il tuo popolo si ostina a snobbare, ovvero fa spallucce, con tutto il carico di nostalgia per il Bepi col parruccone. Ma tanto so che te hai la testa dura, e parecchio dotata di cervello: per cui mica cambierai percorso per così poco. Avanti tutta, Tiziano, il meglio deve ancora venire.
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