In tutti questi anni, molti mi hanno chiesto perché mi sono licenziato da scuola. Ero di ruolo al Liceo Classico Sarpi di Bergamo, due figli piccoli, non avevo alternative di lavoro concrete. E allora: perché licenziarmi? La risposta è in questa intervista del lontano 1998, la trovate a metà pagina (titolo quanto mai attuale, «Meno circolari e più dialogo»). Il contesto era drammatico, segnato dal suicidio di un ragazzo alla vigilia dell’esame di maturità. Nel leggerla, alcuni colleghi mi accusarono di cercare pubblicità dopo la realizzazione del Cd premiato dal Bill Gates. In verità, semplicemente, sognavo una scuola diversa e migliore. E continuo imperterrito a farlo.
Le carte del Tumiati, un mio racconto ambientato nel mondo della scuola
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17 Commenti
Ciao Saverio. L’ultima volta che ti ho visto eravamo entrambi in prima liceo, anche se tu avevi due anni in più di me. Ricordo che abbiamo fatto educazione fisica nella sede di Piazza Mercato del Fieno; ad un certo punto tu hai fatto una capovolta sul materasso e ti sei rialzato guardandomi con gli occhi tristi. Ancora oggi ho il rimpianto di non averti chiesto come stessi.
Ogni tanto un sorso di amarezza fa bene, come una sgradevole quanto opportuna medicina. Leggendo queste parole, scritte diversi anni fa (e forse ancora drammaticamente attuali), mi sono sentita balzata indietro nel tempo, agli anni in cui ho condiviso le “fatiche” adolescenziali di figli e nipoti. Certo, non drammatiche come quella di cui parla la riflessione; durissima, per la verità, come lo sanno essere le realtà guardate senza inutili commiserazioni o penose giustificazioni.
La scuola è un mondo strano, c’è poco da fare. Mondo in cui si cresce e talvolta invece si deperisce. Una vita che vive di materia propria.
In Italia abbiamo il corpo docente più anziano d’Europa, ulteriore problema direi
Condivido tutto. Trascuriamo le relazioni con i nostri ragazzi, presi come siamo dalla “dimensione burocratica”.
Secondo me lei profe al tempo aveva capito che prima bisognava creare un clima bello e speciale, poi passare ai contenuti, anzi al metodo di studio e ai contenuti. Grazie ancora
Vero, Federico, ma secondo me soprattutto ci aiutava a trovare la nostra strada. Qualcuno si ricorda i colloqui di orientamento?
Grazie a te, carissimo, anche se vorrei capire quale Federico sei tra quelli che mi son passati per le grinfie…..
Ciao Claudio, sempre un piacere leggerti. Con grande amarezza mi trovo nuovamente a riflettere su temi ed argomenti riguardanti una scuola in cui non mi sono mai identificata, una scuola-sistema in cui doversi inserire ma che non mi ha mai rispecchiata, fautrice di un malessere che è via via cresciuto dentro di me portandomi a nuove consapevolezze e importanti scelte. Da anni collaboro infatti con famiglie che hanno scelto l’homeschooling come forma di istruzione per i propri figli, ma agli occhi di molti ancora (purtroppo) follia o semplicemente moda. In realtà un mondo in cui accogliere realmente le specificità di ognuno, risorse e ricchezze individuali vs un livellamento di prestazioni da sempre richiesto. Scusa il tono pungente o polemico, in realtà dietro c’è molto di più. Grazie ancora e ancora per quello che mi hai trasmesso e lasciato.
Ciao, Tania. Quel che fai mi rende orgoglioso, ai miei tempi non esisteva nemmeno l’idea, per cui o dentro o fuori. Mi fa riflettere il fatto che per definire il tuo lavoro serva una parola straniera. Scuola a casa? E quando mai. Istruzione domiciliare? Ma per favore, sembra un comma di un’assemblea condominiale. Se ti va, raccontami la tua esperienza di insegnante a chilometro zero, mi piacerebbe condividerla sulle “colonne” di questo mio blog.
Ti capisco bene, da dentro la scuola ogni giorno vivo quel che hai descritto così bene. E son passati 23 anni dalla tua intervista!!! Hai qualche ricetta per chi come me non ha il coraggio di lasciare?
No, mi dispiace, non ho ricette, Mita. Posso solo dirti che ammiro il coraggio di restare.
Era meglio se un professore così fosse rimasto, per gli alunni intendo. E invece sono rimasti gli invidiosi. Sbaglio?
Forse, ma non è il caso di rimestare la vicenda. Il punto vero è che un ragazzo ci ha lasciati, non lo conoscevo ma penso alla sua famiglia, chissà se il tempo ha lenito il dolore. Non credo, purtroppo, questo è un dolore che non ha nemmeno le parole per dirlo. E le lacrime per piangerlo.
Analisi lucidissima e ancora più attuale. Insegno da quasi trent’anni e la dimensione burocratica è sempre più preminente
E questo mi preoccupa ancor più, Alba. Il centro della scuola – meglio: dell’insegnamento – è la relazione con gli alunni. Tutto il resto è corredo, dovrebbe prendere a dir tanto il 20 per cento del lavoro di un insegnante. Sospetto che oggi si sia arrivati all’80 per cento, secondo la costante di Pareto. Quel che nel 1998 vedevo confusamente, sperando di sbagliarmi, si è purtroppo confermato e imposto.
La relazione, giusto, cioè la centralità degli studenti nel percorso educativo
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