Willie Davenport, chi era costui? Nato nel 1943, Davenport è stato un ottimo atleta, specialità 110 ostacoli. Il suo apice in carriera lo ha raggiunto a Città del Messico, nel 1968, forse le prime Olimpiadi veramente televisive della storia. Ricordo come fosse oggi le immagini in un bianco e nero approssimativo ed emozionante; ricordo i primi ralenti e la scritta vivo live quando si tornava in diretta; ricordo che per via del fuso orario le gare le seguivo dal pomeriggio finché potevo stare sveglio, in un tourbillon di discipline privo di un ordine particolare; ricordo infine gli atleti stremati per via dell’altura, oltre 2200 metri. Le gare di atletica avevano un sovrappiù di tensione: prima e dopo le competizioni i concorrenti dovevano ricorrere all’ossigeno. Tutti tranne gli Americani, che in atletica leggera vinsero qualcosa come dodici medaglie, quasi tutti ori, sbriciolando cinque record del mondo. Tra queste medaglie d’oro ecco per l’appunto quella di Wilbur Davenport, per tutti e per sempre Willie, che vinse i 110 ostacoli in 13″33, record olimpico. È lui al comando nella fotografia d’apertura, il bianco che si scorge sullo sfondo è il nostro Eddy Ottoz, che ci regalò il bronzo con un fantastico 13”46, record italiano migliorato solo nel 1994 da suo figlio Laurent. Ma torniamo al nostro eroe. Davenport partecipò a ben 4 Olimpiadi, da Tokio (1964) a Montréal (1976), dove vinse il bronzo. Non pago di una carriera affatto banale, Willie pensò bene di darsi anche al bob a 4, partecipando ai Giochi invernali di Lake Placid nel 1980, e diventando così uno dei pochissimi atleti della storia ad aver disputato sia i Giochi olimpici estivi che quelli invernali. Nel bob andò così così, 12° posto, ma lui era stato scelto per dare la spinta iniziale, mica per indovinare la traiettoria. Poco tempo dopo Willie si ritirò dalle competizioni. È scomparso esattamente 20 anni fa, il 17 giugno del 2002.
Già, ma come mai agli atleti americani non servì l’ossigeno a Città del Messico? E perché invece di ricordare Lee Evans, per fare giusto un nome, per capirci quello con il basco e il pugno alzato dopo due ori, tu ci racconti di questo Davenport che, va bene tutto, ma non è che siamo proprio a livello d’eccezione? Partiamo dall’ossigeno. La squadra americana di atletica leggera aveva ingaggiato Carl Stough, un direttore di cori (sì, avete capito bene) che per via del suo campo d’azione aveva approfondito in maniera sorprendente le tecniche di respirazione. Già al primo incontro con gli atleti il dottor Respiro – così veniva soprannominato – si era reso conto che respiravano male ed espiravano peggio, distruggendo il proprio fisico nello sforzo di sopportare il dolore. Dopo pochi allenamenti, i corridori migliorarono senza sforzo i propri record personali, e questo grazie al semplice fatto che Stough li educava a impiegare meglio il diaframma nella respirazione. In particolare, allo sparo dello starter i corridori dovevano espirare tutta l’aria, in modo che, al primo respiro, avrebbero ricevuto una sferzata di energia per correre più veloce e più a lungo. Quanto a Davenport: non potevo certo sognarmi del lavoro di Stough e men che meno del bob; ma sapevo con assoluta certezza che la sua era l’unica figurina che mi mancava per completare Campioni dello Sport – Olimpiadi, l’album Panini uscito nel settembre di quell’anno. Ai tempi – e mi sa anche adesso – funzionava che alcune figurine non venivano inserite subito nei pacchetti, così andavi avanti a comprare come un ebete, collezionando doppie su doppie. Per chi ha memoria: il Feroce Saladino, Pizzaballa, Davenport appunto. Quella mattina a scuola ebbi un colpo di fortuna: qualcuno mi scucì l’agognata figurina in cambio di una discreta quota di doppie. Per distrarre l’attenzione dal mio vero obiettivo, come un collezionista navigato condussi la trattativa chiedendo anche altre figurine che non mi interessavano punto; non solo, siccome l’altro era un tipo piuttosto tignoso, feci anche il gesto di piantar lì tutto, che dovevo andare a casa. Morale: Davenport nelle mie mani e ritardo cosmico sulla tabella di marcia. Ma mica mi metto a correre, anzi: torno da scuola lemme lemme, stringendo tra pollice e indice il vagheggiato cimelio, che continuavo a rimirare, col rischio d’inciampare. Pure le scale le faccio pianin pianello, niente ascensore, per prolungare l’emozione. La nitidezza del ricordo mi convince che quel giorno compresi veramente che cosa vuol dire collezionar qualcosa. Suonai il campanello con mezz’ora di ritardo, a momenti i miei stavano per chiamare i carabinieri. Ne sentii su un cappello, ma non volli dare spiegazioni: non potevano capire che c’entrava una semplice figurina. Ma quale semplice? Era il grande Willie Davenport, signori!
La prima figurina della storia? Quella di Bruno Bolchi. Se volete imparare a respirare bene ed espirare meglio, spunti teorici e pratici li trovate nel libro di James Nestor, L’arte di respirare.
4 Commenti
Willie Davenport? Che scheggia, ragazzi❤️
Bello, alcuni aneddoti propri non li conoscevo
Lo sport regala storie preziose e belle, carissimo brother Robi!
Mai sentito nominare…. Storia bellissima
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