Un’amena biblioteca in un volume

Centuria copertina

 

Francamente non ricordo perché mai a poco più di vent’anni io abbia acquistato Centuria di Giorgio Manganelli (Rizzoli 1979). Sarà stata la copertina, direte voi. Acqua. L’illustrazione non invitava a prima vista, roba giapponese, valla a capire. Forse la bandella, quanti libri compriamo per quella sottile ingiunzione laterale? A ben vedere, il testo a firma G. M., ovvero di pugno dell’Autore, era tutto men che commerciale. Sentite qui l’abbrivio: «Il presente volumetto racchiude in breve spazio una vasta ed amena biblioteca; esso infatti raccoglie cento romanzi fiume, ma così lavorati in modi anamorfici, da apparire al lettore frettoloso testo di poche e scarne righe». Altro che imperdibile capolavoro come è in voga refertare ai nostri tempi. Sarà stata l’Introduzione, suggerirà l’esperto. Non male come idea, se non fosse che all’epoca il testo non recava in dote alcuna premessa, niente adescamento o seduzione. Solo la versione francese del 1985 reca il sigillo di Italo Calvino, successivamente recepito dalle patrie edizioni: «Da vent’anni la letteratura italiana ha uno scrittore che non assomiglia a nessun altro, inconfondibile in ogni sua frase, un inventore inesauribile e irresistibile nel gioco del linguaggio e delle idee». Centuria, aggiungeva, è un «sontuoso spettacolo fatto di sintassi elaborata, di nomi, verbi e soprattutto aggettivi inaspettati, l’arte di far sorgere dal pretesto più insignificante una fontana di zampilli verbali, un vortice di analogie, una cascata d’invenzioni esilaranti». E allora: se l’edizione originale non issava di Calvino né ombra né stemma, quale sarà stata la ragion sufficiente per sborsare la non immodesta somma di lire 6500? Proviamo con l’incipit del piccolo romanzo fiume numero uno: «Supponiamo che, ad un certo momento, una persona che sta scrivendo una lettera ad un’altra persona – il sesso o i sessi sono irrilevanti – abbia il sospetto, o forse semplicemente s’accorga di essere lievemente ubriaco. No, non si tratta di ubriachezza molesta, chiassosa e ripugnante – se non per il fatto che l’ubriachezza, iperbole dell’esistenza, ne mette in evidenza (si diceva nei temi) l’intrinseca repellenza». Stile ammiccante, esatto e insieme maliziosamente complicato, ironia in doppia cifra, magia della parola levatrice. E tutto questo vale per ciascuno dei cento romanzi minimi, bonsai: vuoi vedere che il richiamo arboreo motiva la copertina giapponese? Per non dire che nella cerchia dei sodali l’Autore era noto come il Manga, e magari anche questo spiega l’elezione: roba da rasentar la perfezione. A proposito: che dire del principio di economia sotteso alla scrittura? Se un volume di pagine duecento ospita cento possibili romanzi, immaginate le mille situazioni in cifra, le vite in abbozzo piuttosto che fiorite, gli splendidi piaceri, le infinite superbe menzogne e raffinate. E ancora: se l’Autore si sacrifica per cento intrecci e narrazioni, è segno che sta arginando altrettanti novizi sciagurati: queste storie sono già contate, guai a voi imbrattacarte, anime prave. Insomma, Centuria è una provocazione indomita, una collezione rutilante e generosa, un subisso di apparizioni magistrali, un florilegio di improvvisi scarti e di sorprese; leggere Manganelli significa scoprire un umorista squisito e micidiale, una voce inconfondibile e sinuosa, un artefice che plasma infiniti universi paralleli alla maniera di Piranesi, Escher o di qualche fiammingo stralunato. Un seduttore splendido e appartato, che con degnazione d’altri tempi ci regala magnifiche sorti e prospettive. 


Qui altri ritratti di g.a.d.d.a. (grandi autori dimenticati da anni).

1 Commento

  • Emanuela Posted 19 Aprile 2019 16:20

    6500 lire? Preistoria…

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