Auguri, Elsa

Elsa Morante (1912-1985)

Nata il 18 agosto 1912, Elsa Morante era convinta che il suo peggior difetto fosse la pesanteur, la pensatezza. Facile che la cosa dipendesse da Moravia, stare con lui non era certo una passeggiata. Fatto sta che quando si separò, a giudizio di Garboli Morante confuse «la solitudine con l’indipendenza» (Storie di seduzione, 149). Ne era consapevole, Elsa, tanto da scrivere: «Chi fugge per amore non può trovar quiete nella solitudine» (Menzogna e sortilegio). Garboli di lei ricorda anche «quel modo di ridere, incredulo, prima, interrogativo, e poi, a un tratto, fragoroso, che partiva dagli occhi stretti da miope…» (Storie, 146). Di Elsa Morante raccomando Aracoeli, secondo Emanuele Trevi «il più bel libro in prosa italiana di fine Novecento» (Sogni e favole, 128). Non so se Trevi abbia ragione, forse sì a dar retta a questa citazione: «Chi può dire dove e quando la macchina dei ricordi inizia il proprio lavoro? In genere si suppone che, al momento della nascita, la nostra memoria sia un foglio bianco; però non è escluso che, invece, ogni nuovo nato porti con sé la stampa di chissà quali soggiorni anteriori, con altre nature e altre luci. Forse queste, agli esordi del suo soggiorno terrestre, interferiscono ancora, simili a una lente aberrante, nelle nuove apparenza e quotidiane offerte alla sua rètina. E allora il suo campo si inonda di forme e colori favolosi, per via via ridursi, impallidendo nel tempo, alla povertà di una sinopia dopo lo strappo dell’affresco. Finché la memoria adulta (comunemente, almeno) provvede a dissipare fino all’ultima ombra di quel primario spettro luminoso. Considerandolo, a distanza, nient’altro che un effetto equivoco, falso e strumentale: il quale forse, con le sue fantasmagorie precarie, voleva consolarci della nascita, così come le visioni leggendarie dell’al di là vorrebbero consolarci della morte» (Aracoeli, Einaudi 1982, 111).

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