Mark Twain ce l’aveva su coi bergamaschi

Mark Twain (1835-1910) in cerca di ispirazione.

E pensare che tutti i viaggiatori alla vista di Bergamo restano incantati, senza parole di fronte al profilo nobile e stupendo della Città alta. Stendhal assicurava che «il paesaggio di Bergamo è davvero il più bello che io abbia mai visto». Uno dei più grandi architetti di sempre, Le Corbusier, la sintetizzava così: «La città più bella del mondo? Facile, Bergamo». Seguito a ruota dal collega Alvar Aalto, secondo il quale «Bergamo è una delle città più belle e tra quelle che alla memoria lasciano maggiori richiami». Tutti d’accordo, dunque? Mica tanto. Bergamo è una città meravigliosa, d’accordo, ma quel sacramento di Mark Twain per prima cosa manco ci mette piede, e ciononostante ai bergamaschi non le manda certo a dire. Durante il suo viaggio con un gruppo di riccastri americani – probabilmente è la prima crociera della storia, anno Domini 1867 – sentite che invettiva nei confronti dei nostri antenati, roba da dichiarazione di guerra: «Siamo in terra di preti: ignoranza, superstizione, degrado, miseria, indolenza e perpetua disutilità senza alcuna aspirazione; il tutto condito di felicità, allegria e appagamento. Eppure, è quello che ci vuole per questa gente, ci siamo detti con convinzione. Ne godano pure, insieme agli altri animali, e voglia il cielo che nessuno li molesti» (Mark Twain, Verso Bergamo, in Pensieri villani sul’Italia e altri Paesi, a cura di Lino e Franca Sacchi, Lindau editore). All’epoca poco più che trentenne, Twain è scrittore satirico e politicamente scorrettissimo: l’Italia per lui è sinonimo di arretratezza sociale ed economica, il Vaticano è il prototipo di tutti i mali per via del bigottismo e della radicata superstizione che sparge a piene mani. Ovvio che i bergamaschi ne escano con le ossa rotte, anche con accuse improbabili, tipo quella di essere dei lazzaroni ignoranti e addormentati: «Quanto a noi, non ce l’abbiamo affatto con questi ammazza-pulci. Abbiamo attraversato le città più strane e buffe che si possano sognare, legate ai loro costumi, intrise dei sogni di età antiche, del tutto ignare che il mondo gira, e anche del tutto indifferenti a che giri o non giri. La gente non ha niente da fare se non mangiare dormire, dormire e mangiare. Si danno un po’ da fare solo quando un amico dà loro una mano a stare svegli. Non sono pagati per pensare, non sono pagati per preoccuparsi dei problemi del mondo. Eppure questa gente né rispettabile, né valente, né colta, né saggia, né brillante conserva per tutto l’arco della sua stupida vita una pace che va al di là di ogni comprensione. Ci si chiede come possano uomini, degni di questo nome, accettare di essere così degradati e così felici». Di fronte a tanta protervia, chiamiamo a difesa Torquato Tasso, che così scrive a Gerolamo Solza: «Bergamo è la mia patria, città nobile di Lombardia, piena di belle abitazioni e di convenevoli ricchezze e di buone lettere e di laudevoli costumi e di uomini eccellentissimi nell’arme e nelle scienze ed in tutte l’arti nobili ed onorate»; scomodiamo Alberto Savinio, convinto che «Bergamo bassa è una Milano minore, robusta e operosa. Bergamo alta è il nido del Gemüt [dell’animo] lombardo; città da sogno invernale»; infine, convochiamo a testimone Dino Buzzati, convinto fin dal primo incontro che Bergamo è «uno dei posti più affascinanti della terra: e non ne avevo mai sentito parlare. Ma come è possibile – chiesi – che un capolavoro simile non sia famoso in tutto il mondo? Non dico come Venezia, ma siamo lì. Dovrebbero arrivare carovane anche dalla Cina e dall’Islanda…». E invece la carovana capitanata da Mark Twain la pensava diversamente: Bergamo città manco la nomina, eppure dalle nostre parti incrocia tipi umani ben poco raccomandabili, a cui riserva epiteti a ogni passo. M’immagino che, durante la cena, lo scrittore si divertisse a far sbellicare i facoltosi commensali, distillando dai fatti di giornata motti e facezie per i grezzi palati americani. A proposito di crociere, ben altro è l’atteggiamento di David Foster Wallace nel suo esilarante e commendevole Una cosa divertente che non farò mai più. «Dall’11 al 18 marzo 1995, volontario e dietro compenso» lo scrittore si sottopone per l’appunto a una crociera; ma invece di concentrarsi sulle meraviglie del viaggio, o di lasciarsi viziare dal servizio, resta sempre a bordo e punta l’occhio affilato sui compagni di avventura: «Comunque, guardare giù da molto in alto i vostri connazionali che ondeggiano nei loro sandali costosi in porti devastati dalla miseria non è fra i momenti più divertenti di una crociera extra-lusso 7NC. C’è qualcosa di inequivocabilmente capronesco in un turista americano che si muove all’interno di un gruppo. Hanno una certa flemma avida. Anzi, abbiamo. Nel porto diventiamo automaticamente Peregrinatores, Americani, Die Lumpenamerikaner. Gli Orrendi». Hai capito, Mark? Sono passati 128 anni dalla tua crociera e Wallace, americano come te, in nome e per conto dei bergamaschi ti restituisce la pariglia. Già che ci siamo, poi basta, senti un po’ che diceva un tuo coetaneo italiano, Antonio Fogazzaro: «Si ricordi bene, Lei che è giovane, c’è tante cose belle al mondo, ma un altro Bergamo non c’è proprio mica, sa!».


Sia come sia, e vada come vada, il dialetto bergamasco non conosce la parola felicità.

6 Commenti

  • Rosario Coppola Posted 30 Marzo 2023 06:20

    Ci ho trovato qualcosa di sacro in quel che scriveva Mark. La sua ironia feroce era colta e intelligente ma pur sempre ironia. Grazie per queste pillole di letteratura

    • Claudio Calzana Posted 30 Marzo 2023 08:05

      Grazie a lei, Rosario

  • Il Bepi Posted 30 Marzo 2023 01:31

    Personalmente mi sento di contestargli solo l’accusa di accidia. La sola parola, soprattutto qui, nella “remota provincia” è disonorevole e comica. Al contrario sarebbe forse auspicabile un’evoluzione in nome del “godiamocela” che, alla luce dello stato attuale delle cose, è comunque assai meno attuabile di quanto si creda. Il bello si alterna in continuazione all’orrendo. Si vuole bene quasi per legge naturale al territorio che ci ha cresciuti, ma non mi si parli di “armonia” o di “brillantezza”: le scarpe grosse e cervello fino di gioppiniana foggia io le individuo giusto quando c’è da far di conto. E di ólte gnè lé…

    • Claudio Calzana Posted 30 Marzo 2023 08:14

      In effetti, caro Tiziano, nel mio pezzo volevo un po’ prendere in giro quelli che levan subito gli scudi se qualcuno parla male di loro, della nobile provincia, il focherello familiare, il desco scarno ma sincero. E come dici tu il Twain qui da noi peraltro non ha messo piede, chissà che avrebbe detto se l’avesse fatto. Resta il rimpianto, resta l’occasione mancata. E poi Twain, come è noto, aveva bisogno di piacere a tutti, troppo difficile era stata la sua età prima. Interpretava una parte, mi chiedo come fosse una volta smessi i panni del comico fustigatore

  • Pier Carlo Capozzi Posted 29 Marzo 2023 10:01

    Forse, quel sacramento di Mark avrebbe fatto bene a farci un salto, da noi a Bergamo. Tanto per avere la possibilità di cambiare idea. Radicalmente. Da bergamasco che ama la sua Terra volerò un po’ più in alto e continuerò a considerarlo uno dei miei maestri e uno degli scrittori che, prestissimo, mi affascinò (con Tom Sawyer e il Mississippi come apripista) contribuendo in maniera sostanziale a farmi innamorare della lettura.

    • Claudio Calzana Posted 29 Marzo 2023 17:40

      Questo sì che è l’atteggiamento giusto, Piercarlo! Parli male di noi, Mark? Niente paura, non te ne vorremo. Perché in fondo la colpa è tua, che vuoi piacere a tutti e va a finire che scontenti tutti. Parlo dell’uomo, ovvio, perché lo scrittore, quello chi lo discute?

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