
[28] Caposele, piazza Sanità. Spaparanzati su una panchina del giardinetto pubblico, Paolo ed io siamo in attesa di visitare l’acquedotto di Caposele, straordinaria opera di ingegneria idraulica lunga ben 244 chilometri. Nel mentre, più di un’auto si ferma, anzi a ben vedere è tutto un via vai alla fontanella pubblica a due passi da noi. Scendono famiglie, ragazzi, gruppi assortiti. Riempiono bottiglie e piccole damigiane: l’acqua del Sele è purissima e giustamente rinomata. Dal 24 aprile 1915 disseta la Puglia, fino ad allora una delle zone più aride d’Europa, stremata dalla sete e dalle malattie infettive, i campi sterili e secchi. Qualcuno ha calcolato che il Sele regala alla Puglia oltre 400 milioni di litri di acqua al giorno, pari a circa 150 miliardi di litri all’anno. A far due conti al volo, si tratta di 85 milioni di euro all’anno di materia prima, che la Puglia poi trasforma in opportunità, da calcolare per un coefficiente di moltiplica pari a 117 volte. In totale, il dono ammonta a qualcosa come 10 miliardi di euro l’anno. E gli irpini, direte voi? Ecco, in cambio gli abitanti di Caposele – non tutti gli irpini – hanno l’acqua gratis in casa, volendo potrebbero farsi 4 bagni al giorno, tanto la bolletta mica arriva. E poi c’è la fontana dei giardinetti, ma questo solo da un paio d’anni. L’edificio accanto all’acquedotto è di cemento armato, il primo costruito in Europa. L’acqua era talmente importante che veniva difesa da un presidio militare, e fino al termine della Seconda guerra mondiale Caposele manco compariva sulle mappe, per evitare che il nemico progettasse un attentato. Il 23 novembre 1980 l’unico edificio di tutta l’Irpinia a non dover temere nulla era proprio questo, oggi adibito a caserma dei Carabinieri. Al tempo, nella foresteria dell’acquedotto abitavano il custode e la sua famiglia. Il 23 novembre i tre figli della coppia erano a Lioni da parenti, la scossa li sorprese per le scale. Pur non avendo notizia dei suoi ragazzi, per 48 ore filate quel padre pensò dapprima a rimettere in funzione l’impianto, che non stava erogando acqua perché la scossa aveva disallineato la galleria di circa due metri. Poi corse a Lioni a scavare in cerca di Carmela, Enzo e Alfonsina. Li trovò il 26 novembre tra le macerie del palazzo, privi di vita. Quel padre, Leone Cuozzo, non resse al dolore: tre giorni dopo si tolse la vita con il fucile in dotazione. Rabbrividisco al pensiero di quella moglie e madre, Raffaella Falanga, non riesco nemmeno a immaginare il suo strazio. Il mio sguardo vaga per la piazza in cerca di rifugio, e incrocia la chiesa di Santa Maria della Sanità. Il campanile, appartato e schivo, si staglia a trecento metri di distanza. A causa dei lavori dell’acquedotto, infatti, la chiesa fu riedificata più in basso. Solo una terra generosa può donare il proprio tesoro più prezioso, come l’acqua del Sele. Solo una terra ingrata può sacrificare i propri figli, come accaduto ai tre ragazzi di Caposele. Solo nella profonda Irpinia un campanile può smarrire la sua chiesa.
E poi ci sono le pale eoliche. Le incontri ovunque, così diffuse e imponenti che tolgono il fiato. Incongrue, abnormi, smisurate. Secondo il portale Orticalab, ci sono tre elementi comuni allo sviluppo di questo tipo di energia alternativa. Innanzi tutto, i territori interessati sono caratterizzati da «spopolamento (conseguenza di una forte emigrazione), disoccupazione (giovanile in modo particolare), depressione economica, invecchiamento e perdita d’identità»; secondo, la transizione ecologica in atto rende più semplice sbrigare la pratica per installare una pala eolica che quella per rifare la facciata della propria casa. Infine, protagonista di questa diffusione esponenziale di strutture è l’azienda portoghese Edp Renewables, quarto produttore mondiale di energia green. Stando ai dati dell’Anev (Associazione Nazionale Energia del Vento), in Campania sono presenti 1841 impianti, per una produzione di 3698 GWh. Sempre per Orticalab, più di un terzo di questa energia rinnovabile viene dalla provincia di Avellino (ma il dato è del 2018), valore che in ogni caso supera di molto il fabbisogno elettrico dei cittadini residenti. E così in Irpinia il terreno agricolo si impoverisce, l’inquinamento acustico è tangibile, il paesaggio perde il suo fascino. Eppure la cosiddetta pubblica opinione vede perlopiù vantaggi nell’economia verde. A pensarci bene, anche questa faccenda ha a che fare con il terremoto dell’80. Le promesse di allora non sono state mantenute, i giovani irpini continuano ad emigrare, la sapienza di agricoltori e artigiani è andata perduta. Una terra a prevalente vocazione agricola e artigiana ha dato retta alle sirene degli insediamenti industriali che, una volta incassati i contributi, hanno levato il disturbo. L’economia di questo territorio si è ridotta agli elementi naturali che possiede in abbondanza e cede per un tozzo di pane. Dal lavoro frutto di un sapere antico si è passati a una rendita appena sufficiente a sbarcare il lunario. E così l’Irpinia invecchia tra nostalgia del prima e illusioni sul dopo. Mi vengono in mente don Chisciotte e Sancio Panza, pensate un po’. Il nobile cavaliere se la prendeva con i mulini a vento, per lui erano mostri da sconfiggere, nella mente e nel cuore custodiva un mondo ideale, forgiato dai romanzi cavallereschi; Sancio Panza, invece, dispensava saggezza popolare in forma di proverbi, che adattava a ogni occasione della vita. A dar retta agli studiosi, Sancio monta l’asino della memoria, don Chisciotte il cavallo dell’illusione e dell’oblio. È questo il rischio che vedo serpeggiare per questa terra unica e vaga: la memoria del passato si affida a una tradizione perduta, fatta di proverbi che oggi non hanno più corso legale; e intanto illusione e oblio ti abbagliano con l’apparenza di un mondo nuovo, più ricco e migliore. Così in Irpinia tradizione e progresso si danno la mano per un patto scellerato. E se l’acqua di Caposele corre al mare – un litro ci mette tre giorni per arrivare a Santa Maria di Leuca – l’energia elettrica alimenta città e complessi industriali. Là dove i giovani irpini emigrano per trovare lavoro e tirare a campare.
Piazze e strade, la ventinovesima puntata. Tutte le puntate del mio Ritorno in Irpinia.
2 Commenti
In Lombardia esistono i BIM (bacini imbriferi) enti pubblici in cui sono rappresentati i Comuni. I benefici dei proventi qui vengono distribuiti su tutto il territorio provinciale montano. L’acqua del Sele viene captata in un punto preciso ma è il prodotto dei Monti Picentini, come quella del Calore. Intanto non ho ancora visto un politico irpino a livello comunale, provinciale o regionale impostare una politica di rivendicazione di diritti sui nostri beni (acqua e vento). Rimangono le rivendicazioni campanilistiche ed isolate di Caposele e Cassano che , in qualche misura, sono ascoltate. Il problema non si risolve così
Caro Massimo, grazie per il suo commento. Ho cercato di rendere quel che ho visto e appreso nel mio viaggio di ritorno in Irpinia 42 anni dopo il terremoto, e ci son cose che francamente non mi spiego. Tra l’altro, non mi pare che l’Irpinia sia poco rappresentata politicamente, eppure sembra contare davvero molto poco. Chi lo sa, forse manca una piena consapevolezza dei problemi, forse una seria cooperazione tra le varie anime e zone. O forse semplicemente prevale la rassegnazione, tra tutti il peggior male, perché senza rimedio.
Aggiungi Commento