Il tamburo e la bambola

August Macke, Ragazza bionda con bambola

August Macke, Ragazza bionda con bambola

«Nessuno dovrebbe descrivere la propria vita se non ha la pazienza, prima di datare la propria esistenza, di commemorare almeno la metà dei suoi avi». Così il protagonista de Il tamburo di latta, il folgorante esordio di Günter Grass, pubblicato esattamente 60 anni fa. Ambientato a Danzica, il romanzo ha per protagonista Oskar Matzerath che, dal manicomio dove è internato, rievoca vicende di famiglia ormai lontane al suono di un micidiale tamburo di latta, il suo primo gioco e talismano. Tra le gonne della nonna materna avviene il misterioso concepimento di Agnes, la madre di Oskar; l’ostinata ribellione del bambino inizia prima della sua nascita, nel ventre materno, quando ritarda la sua venuta al mondo; e non appena riceve in dono il tamburo, a tre anni, deciderà di smettere di crescere, rimanendo fedele alle dimensioni del suo rumoroso feticcio. Il bambino – tema caro al mondo fiabesco e in generale al romanticismo tedesco – non crescerà fino ai 28 anni, a seconda guerra mondiale conclusa, quando la nuova Germania vede finalmente la luce. Tutto è bene quel che finisce bene? Mica tanto: lo sviluppo del ragazzo non sarà per nulla regolare. Una gobba segnerà per sempre questa crescita forzata, a evidenziare le storture che si celano sotto le magnifiche sorti e prospettive. Il bambino che decide di crescere e la nazione che si riscatta dal giogo nazista sono una e medesima storia: ma quel tamburo dall’impronta militare è lì a ricordare che un certo passato non lo puoi passare sotto silenzio; e quella gobba richiama la polvere sotto il tappeto, atteggiamento di quei tedeschi che col nazismo non hanno mai fatto i conti fino in fondo. Un libro immaginifico, denso e fiabesco, un capolavoro di prosa e invenzioni destinato a lasciare in ombra quell’anno i romanzi di altri autori di sicuro valore. Tra gli altri Uwe Johnson, Heinrich Böll, Klaus Nonnnenmann.

Il dottor Wambach
Già, Klaus Nonnenmann: chi era costui? Nato nel 1922, fu pilota della Luftwaffe, poi giornalista e autore di testi per la radio. Era noto giusto a una ristretta cerchia di sodali, eppure un suo romanzo di quel medesimo 1959, Le sette lettere del dottor Wambach, vale il coevo tamburo di Grass, anzi lo supera, a giudizio di chi scrive. Al tempo pochi se ne avvidero, tanto che venne riscoperto solo una trentina d’anni più tardi. La versione italiana non a caso è del 1989, Serra e Riva editori. Protagonista è un medico mutualistico in pensione, il dottor Wambach, stimato da tutti, già sindaco della città, presidente onorario del congresso medico internazionale. È la sua ultima settimana di vita, l’autore ce lo dice subito, quindi non stiamo svelando nessun arcano. Vedovo, non ha figli, ignora qualsivoglia dieta, è pittore dilettante e patito di meteorologia, tiene la pipa a destra o a sinistra delle labbra a seconda dell’umore. Insomma, il classico pensionato abitudinario. Sennonché un bel giorno al parco incontra una bimba in lacrime, «un cosino mingherlino di cinque anni e mezzo». La piccola Ise piange perché ha perso la sua bambola, Rapunzel (Raperonzolo). Wambach decide di consolarla con la medicina più magica e infallibile, le parole. Inventa sui due piedi che la bambola non è affatto scomparsa, ma si è trasferita a Parigi, dove se la spassa tra alberghi, negozi di moda e bella vita. Nei giorni successivi il dottore recapita alla bimba le lettere di Raperonzolo. Una lettera al giorno, sette in tutto. Guai e peripezie non mancano, ma quando la bambola incontra il suo principe azzurro il lieto fine è assicurato. Certo, i genitori di Ise non la prendono bene, quel vecchio che intenzioni ha? Non è il caso di informare l’associazione dei medici che Wambach non è del tutto registrato? E come se la caverà il dottore nel tenere il suo discorso al congresso nazionale che presiede? Non ha preparato nulla, assorbito dalla piccola Ise, dalla scomparsa di Rapunzel e dalla stesura delle lettere. Il finale non va svelato, perché è semplicemente meraviglioso.

Un piccolo miracolo
Sia pur relegate in penombra dal trambusto del tamburo di Grass, le Lettere di Nonnenmann sono un piccolo miracolo, come ha scritto Peter Härtling. In entrambi i romanzi i bambini sono protagonisti, i giocattoli pure, il richiamo al mondo delle fiabe è decisivo. Ma le differenze sono evidenti: Grass è scrittore focoso, che prende di petto la questione tedesca e si impone per le sue invettive a perbenisti e benpensanti. La voce di Nonnenmann è invece delicata, ironica, sorridente, da uomo pieno di gioia. Entrambi affondano le radici nel repertorio fiabesco dei fratelli Grimm, ma lo svolgono in direzioni diverse. A ben vedere, le due anime della letteratura e cultura tedesca, la marziale e l’appartata, sono emblematicamente rese dai balocchi di questi due romanzi, il tamburo e la bambola. Per trovarle riunite in un’unica espressione bisogna affidarsi alla sintesi suprema di Goethe o alla mimesi tragica di Kafka.

Kafka al parco
Le sette lettere nascondono un segreto: la storia del dottor Wambach rievoca un episodio vissuto in prima persona da Kafka. Nel 1923, già molto malato, lo scrittore consolò una bimba che al parco aveva perso la sua bambola. E lo fece scrivendo lettere, proprio come Wambach. Se non bastasse: la moglie del dottore si chiama Amalia, come la ribelle che accudisce i genitori ne Il castello, e muore di tubercolosi, proprio come accadde a Kafka. Grazie a Klaus Nonnenmann, Kafka – autore ignorato da vivo – torna in vita sulla pagina scritta, il luogo certamente più degno e appropriato. È lui che “inciampa” in una bimba e si china ad asciugarne le lacrime, consolandola con le dolci parole di una bambola. Nella Lettera al padre, mai consegnata, lo scrittore praghese scriveva: «La vera via passa su una corda, che non è tesa in alto, ma rasoterra. Sembra fatta più per inciampare che per essere percorsa». E Nonnenmann, quasi di rimando: «Non è in alcun modo lecito morire prima di aver vissuto».
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Qui altri ritratti di g.a.d.d.a. (grandi autori dimenticati da anni)

3 Commenti

  • claudio calzana Posted 9 Settembre 2019 13:17

    Mi sembra un po’ tranchant, gentile Angelo, Grass è indubbiamente più schierato e in certi casi magari un po’ cervellotico (vedi “Il rombo”), ma ha significato molto per generazioni di lettori.

  • Angelo Posted 29 Luglio 2019 19:05

    Non ho letto Nonnenmann, ma quello di Grass è certamente l’unico suo libro che valga la pena di leggere

  • Elena Posted 29 Luglio 2019 18:54

    Il libro di Nonnenmann mi è parso più soave, delicatissimo; quello di Grass più legato alla storia e all’anima tedesche. Difficile stabilire quale sia il migliore, certo la scarsa considerazione di Nonnenmann è grave. Grazie per questa rievocazione. Elena

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