Tiro mancino_ritorno

Ecco la seconda parte del racconto. L’opera è di Gianfranco Ferroni, Autoritratto.


autoritrattoUn impedito, un pattamolla ecco cosa sei. L’avevo sgamato che mi stavi dietro, cosa credi?, potevo disegnarti a occhi chiusi. E la giratubi? Ma chi la usa più, sei un baggiano e basta. Mi segui, ci metti tre sere per condire uno che avrà il doppio dei tuodei tuoi anni. Poi arrivi al punto e non ti ricordi da che parte si comincia. Se non ero io che prendevo la chiave eravamo ancora al parco.. Un impedito, un pattamolla ecco cosa sei. L’avevo sgamato che mi stavi dietro, cosa credi?, potevo disegnarti a occhi chiusi. E la giratubi? Ma chi la usa più, sei un baggiano e basta. Mi segui, ci metti tre sere per condire uno che avrà il doppio dei tuoi anni. Poi arrivi al punto e non ti ricordi da che parte si comincia. Se non ero io che prendevo la chiave eravamo ancora al parco.
Tanto lo sapevo che arrivavano, questione di ore. Bisognava solo capire cosa e chi. Il cosa magari era facile, il ginocchio speriamo, il chi mi dicevo che se arriva un rumeno sono nella merda. Trecento euro e ti stincano, ci sono di quelli che lo fanno gratis per farsi conoscere. No, un flobert, un foffa mi mandano. Ma a te dove ti hanno pescato? Ti è andata bene che ero io, alla fine. Va là che sei nato sotto una stella cometa.
Ai miei tempi alla gente bastava dirlo se marcavano male, si mettevano in riga in un amen. Gli capitavi davanti al momento buono, che poi sarebbe quello sbagliato, e alla comparizione già gli tremava il culo. Meglio se erano coi bambini, quelli non si toccano, chiaro, però bastava una carezza ai figli che era anche peggio. Per fare la faccia precisa ti mettevi la cicca di traverso, il fumo sparato in giro. Che allora le donne ti facevano fumare anche quando le fottevi, per dire.
È inutile che soffi, finisce che ti soffochi. Sta’ buono, anima, che manca il più bello. Allora, quella sera ho mollato il cane da solo, tanto il parco è sempre aperto, dovresti vedere di notte lo schifo che ci combinano dentro, da non crederci. Comunque, ti sono venuto dietro, ho visto dove stai. Ti sei neanche accorto che la mattina dopo ero incollato al tuo tafanario, ho capito da chi andavi dopo cinque minuti. Così sono tornato a dirlo ai miei, chissà come li hanno conciati. Guarda cosa ti dico: ai tuoi gli è andata bene se gli hanno fatto un requiescat pulito.
Fammi capire, quelli che ti hanno mandato li hai più sentiti? E basta soffiare che tanto non ti slego mica. Li hai più sentiti? Fai sì no con la testa che va bene uguale. Ecco, ci avrei scommesso, più sentiti: requiescat bello pulito. E te in giro come un fringuello a domandarti chi era quello del parco. Vero o no? Vedi se non ho ragione. Allora lo vuoi sapere chi sono? Dillo al paparino, lo vuoi sapere? Certo che te lo dico, cuoricino della mamma: sono quello che ti fa fuori se non fai il bravo.
A tua moglie gli ho dato una botta in testa. Era giù col pattume, un sacco della madonna, ma nella vostra zona non avete la differenziata? Tranquillo, vedrai che se la cava, ho fatto una robetta al vapore. Primo lei non c’entra, poi se si è presa uno come te ha già scontato il massimo. Figli voi due? No? Meglio così. Pensa che vita con un padre come te. Il futuro nasce male e poi non ce la fa neanche col polmone attaccato. Guarda, te lo dico col cuore: se proprio c’è del bene in società tu al massimo puoi fare il buttafuori.
Comunque il mio ginocchio è bello sano, pirla di uno. Ho fatto la scena, il rumore era un ramo che ho rotto con l’altra mano. Non ti sei neanche accorto, ma dove stavi guardando? In questo lavoro o sei preciso o lascia stare. Non è che sono capaci tutti, mica basta avere il ferro o le pagnotte gonfie. Guardami: sono grosso, io? Ma va là! E sai quanti anni ho? Dai, spara. Ho capito che c’hai il bavaglio, e fallo coi piedi! Tutto ti devo dire, bardassa che non sei altro. Uno due tre… sei. Sessanta? Magari. Settantasei fatti a maggio. Sono del toro, ascendente pesci.
In carcere si impara di tutto, anche i segni del zodiaco. Te si capisce subito che il carcere neanche lo sai dove sta di casa. Ecco, te lo dico io: se ci vai è come la scuola, non è mai troppo tardi, come diceva quello alla tele. C’è chi ha imparato a leggere con quel maestro lì, ci vuole rispetto per la gente che fa bene il suo mestiere. Lo guardavo anch’io delle volte, tipo un ripasso perché ai miei tempi scuola poca, di obbligatorio c’era solo la fame. E allora per rimediare ti toccava far andare ben bene le unghie.
Certo, il giorno dopo il parco avevo un bel livido, vorrei anche vedere, alla moglie ho detto che era stato il cane a tirarmi in terra. Povera bestia, a momenti lo scuoia. Mi sa che la tua femmina ti fa mettere le pattine quando entri che piove, ’sta casa è pulita che sembra quella di un magnacarte. Anche la mia donna delle volte la remena, non sta zitta, fai qui fai là, ma ormai sono quarantatrè anni che gira con lei. Se non si fa sentire mi va a finire che le dico «parla che mi sento solo». Ha una bella voce, cantava ai suoi tempi. Adesso ha smesso, dice che oggi al mondo manca la poesia.
Però potevi anche accorgerti, o no? Ti spiego: con che mano tenevo il cane? Non ti ricordi, lo so che sono passati sei mesi, cosa credi? E la cicca con cosa la fumavo? Ti torna almeno la cicca? Sta’ a sentire, girolimoni: almeno ti ricordi con che mano mi sono fatto il ginocchio? Va bene, capito, aiutino: ho qui una giratubi che più o meno è la tua, guardala bene che così ti ricordi. Allora, da capo, con che mano me la sono tirata la legna? Gira la testa che capisco. La sinistra, e bravo il mio piccione. Dai, che se fai il bravo magari te ne vai via sulle tue gambe. Oddio, sulle tue gambe… Stavolta uso la destra, cosa credi?

 

La prima parte del racconto

Altri commenti dei lettori a Tiro mancino.

Qualche nota sulla mala milanese, la lingèra.

5 Commenti

  • Ida Bamberga Premarini Posted 7 Settembre 2022 09:19

    La bellezza del racconto è racchiusa nell’arte sublime di coinvolgere il lettore con un linguaggio che è apparentemente semplice e dialettale, ma in realtà richiede quasi una traduzione simultanea. Una volta entrato nel gioco, ti senti veramente presente ai fatti, diventi tu stesso personaggio del quadretto, vivendo le stesse emozioni create dalla situazione. Ecco allora la prima parte, con il delinquente da quattro soldi, giovane e sicuro di sé e di ciò che sta per fare, pronto a colpire un vecchio su incarico di una banda di malviventi. Alla fine della scena tutto resta in sospeso, con un senso di delusione.
    Ma ecco il secondo atto, in cui il protagonista è proprio il vecchio, delinquente assai più scafato del primo, che porta alla conclusione la vicenda con la cattura del suo attentatore. Il gatto con il topo… Non si va oltre, per non togliere la sorpresa finale. Insomma, direi una cosina alla Hitchcock, per intenderci!

  • Leandro Diana Posted 24 Luglio 2013 12:18

    Lo stile. Il tuo stile Claudio. Come scrivi. Ecco, è esattamente questo che mi piace. Pochi altri lo sanno usare così bene. Complimenti e un abbraccio!

    • ccalz Posted 24 Luglio 2013 14:46

      Già, lo stile, caro Leofender. È dannazione e insieme beatitudine degli scrittori. Grazie di averlo notato, un abbraccio a te.

  • ccalz Posted 17 Luglio 2013 20:59

    Grazie assai dear Beppe, il tuo parere mi conforta e sprona. D’altronde qui in vacanza che fare se non tentar di scrivere qualcosa. O quanto meno provarci, se c’è il lettore giusto che risuona.

  • Beppe Posted 16 Luglio 2013 17:54

    Bellissimo, anche riletto è bellissimo…
    Il maestro Manzi poi, un tocco di raffinatezza…
    Al solito: complimenti di cuore!

Aggiungi Commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *