Mi scrive Rosa: “Mi spieghi per favore perché ogni tanto sul tuo sito metti delle parole che si usano poco? Oggi il linguaggio è semplice, si usano poche parole, o quanto meno certe parole non si usano più, e si vede che un motivo c’è. Meglio semplificare, altrimenti si rischia di non capirsi. O ci sono altri motivi che non capisco?”.
Carissima Rosa, sulle parole belle, come le chiamo io, ovvero in via di estinzione, ci sarebbero tante cose da dire. Mi limito al minimo, per non dire all’ovvio. Ogni parola, anche la più desueta, reca con sé un mondo, un modo di essere e di vivere che quella parola richiama e per certi versi conserva. Esempio: correre come un treno è paragone antico visto che oggi ci sono mezzi di locomozione ben più veloci, ma si usa ancora. Non si dice, magari forse un giorno si dirà, correre come una particella del Cern. Ecco, per prima cosa la parola, l’espressione è figlia di una storia, della storia. Altra considerazione: queste parole saranno anche poco usate, ma nei testi, nei romanzi ci sono, eccome. Non è che si può scivolar via come se nulla fosse, o perlomeno credo. Infine, se una parola esiste, vuol dire che ha qualcosa in più del miglior sinonimo possibile: pensa ad atticciato, che sarebbe grasso, basso, tarchiato. Ma ha qualcosa in più dei sinonimi, richiama tecchio, che magari viene da dick, anglosassone voce, perché la coscia si dice thigh, e d’altronde quella è parte del corpo spessa. Ma ci sono assonanze pure in russo, in polacco. Atticciato ha un valore tutto suo: richiama perfettamente quel corpo che, un tempo giovane, si allarga sotto il peso dell’età, si fa più denso, dunque lento, misurato, alla fin fine pacato. Insomma, atticciato.
2 Commenti
Concordo e approvo il paragone, Mariangela: il fuoco e la piastra elettrica sono due mondi e due concezioni del mondo. A noi ci piace il fuoco, si vede, e quel sapore di brace che rende unico il cibo.
Le parole desuete, secondo me, sono un po’ come le case antiche. Nessuno ci camperebbe. Troppo scomode da usare. Ma tutti lì a restaurarle e preservarle. Per memoria, suggestione, rispetto, ammirazione, curiosità. A volte, nostalgia di un vivere malagevole, sì, ma lento e cadenzato dai bisogni essenziali. Un mondo in cui per cuocere una polpetta ci voleva fuoco, fuoco e ancora fuoco, e sugo di gomito per trasportare la legna, accenderla e attizzarla di continuo. E non la piastra elettrica di McDonald’s che la sfriggola – lei, la polpetta – giusto il tempo di passare alla cassa. E le patatine fritte? Un contorno da re, altro che il cartoccetto di cartone, bustina di ketchup inclusa!
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