Due premi, una misura

Antonio Calderara, L’uomo che scrive (1929)

Curiosa coincidenza, devo dire: nel giro di pochi giorni sono stato nella giuria di due concorsi letterari. Il torneo “7 parole per un racconto” in versione americana (ne ho scritto qui); e il Premio Letterario Nazionale Letteratura per la Giustizia, organizzato dal Consiglio Nazionale Forense, dalla Fondazione dell’Avvocatura Italiana e dal suo quotidiano, Il Dubbio. Tre le sezioni: poesia, racconti e romanzi. Un’ottantina le opere pervenute a questa seconda edizione, tutte dedicate a temi e protagonisti della giustizia, della difesa dei diritti e del mondo carcerario. Lo scorso fine settimana, al Salone del libro di Torino, abbiamo premiato le opere migliori, tre per ciascuna categoria, e presentato il romanzo Una vita come la tua di Domenico Tomassetti, che l’anno scorso ha vinto la prima edizione del concorso e quest’anno ha visto la luce per i tipi dell’editore Bertoni.

Ma al di là della pubblicazione e delle graduatorie, il discorso che mi preme è un altro. Chi partecipa a questi concorsi, salvo le consuete eccezioni, non insegue fama o ragioni di cassetta. Scrive semmai per il piacere, e la necessità, di mettere su carta quel che l’esercizio della professione non riesce a comprendere e chiarire. Soprattutto le opere di poesia, ma anche i testi delle altre sezioni, alludono spesso a quel che l’esercizio della giustizia fatica a garantire se non in abstracto. La disciplina giuridica, i codici e le leggi, raggruppano inevitabilmente le fattispecie per sommi capi e non si piegano alle singole vicende. Ancora: le indagini, il processo, la sentenza sono faccende umane, troppo umane; per tacer del carcere e dei vari registri della pena. Ecco, mi son detto: la prova che la letteratura ha ancora un senso non è forse da cercare tra gli autori osannati, nel numero di copie vendute, nel grande circo del mercato. Il senso della letteratura si trova ben espresso e a proprio agio nei testi che alimentano questi concorsi; non sempre perfetti o riusciti, ma certamente onesti per intenzione e necessari per vocazione. Sotto la toga, in una cella affollata, sulla scrivania di un magistrato: in questi luoghi la letteratura pulsa, anima, rivela. E se la vita non ti basta, ovvero qualcosa fa caso a sé, eccede o dismisura: ebbene, allora scrivi. E scrivendo trovi il senso altrimenti smarrito, l’evidenza inutilmente attesa.


Non a caso la letteratura la sa lunga.

2 Commenti

  • Luisa Posted 31 Maggio 2022 15:06

    Niente da aggiungere se non dire che si mettono sulla carta tutti i nostri sentimenti e le emozioni che, in un mondo diventato insensibile, non possiamo più esprimere.
    Invece di reprimere….scriviamo.

  • Laura Posted 30 Maggio 2022 22:39

    Hai reso bene, se la vita non ti basta allora scrivi, ovvero se la vita districa senso solo scrivendo, perché trovare le parole è dare forma.

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