Curiosa coincidenza, devo dire: nel giro di pochi giorni sono stato nella giuria di due concorsi letterari. Il torneo “7 parole per un racconto” in versione americana (ne ho scritto qui); e il Premio Letterario Nazionale Letteratura per la Giustizia, organizzato dal Consiglio Nazionale Forense, dalla Fondazione dell’Avvocatura Italiana e dal suo quotidiano, Il Dubbio. Tre le sezioni: poesia, racconti e romanzi. Un’ottantina le opere pervenute a questa seconda edizione, tutte dedicate a temi e protagonisti della giustizia, della difesa dei diritti e del mondo carcerario. Lo scorso fine settimana, al Salone del libro di Torino, abbiamo premiato le opere migliori, tre per ciascuna categoria, e presentato il romanzo Una vita come la tua di Domenico Tomassetti, che l’anno scorso ha vinto la prima edizione del concorso e quest’anno ha visto la luce per i tipi dell’editore Bertoni.
Ma al di là della pubblicazione e delle graduatorie, il discorso che mi preme è un altro. Chi partecipa a questi concorsi, salvo le consuete eccezioni, non insegue fama o ragioni di cassetta. Scrive semmai per il piacere, e la necessità, di mettere su carta quel che l’esercizio della professione non riesce a comprendere e chiarire. Soprattutto le opere di poesia, ma anche i testi delle altre sezioni, alludono spesso a quel che l’esercizio della giustizia fatica a garantire se non in abstracto. La disciplina giuridica, i codici e le leggi, raggruppano inevitabilmente le fattispecie per sommi capi e non si piegano alle singole vicende. Ancora: le indagini, il processo, la sentenza sono faccende umane, troppo umane; per tacer del carcere e dei vari registri della pena. Ecco, mi son detto: la prova che la letteratura ha ancora un senso non è forse da cercare tra gli autori osannati, nel numero di copie vendute, nel grande circo del mercato. Il senso della letteratura si trova ben espresso e a proprio agio nei testi che alimentano questi concorsi; non sempre perfetti o riusciti, ma certamente onesti per intenzione e necessari per vocazione. Sotto la toga, in una cella affollata, sulla scrivania di un magistrato: in questi luoghi la letteratura pulsa, anima, rivela. E se la vita non ti basta, ovvero qualcosa fa caso a sé, eccede o dismisura: ebbene, allora scrivi. E scrivendo trovi il senso altrimenti smarrito, l’evidenza inutilmente attesa.
Non a caso la letteratura la sa lunga.
2 Commenti
Niente da aggiungere se non dire che si mettono sulla carta tutti i nostri sentimenti e le emozioni che, in un mondo diventato insensibile, non possiamo più esprimere.
Invece di reprimere….scriviamo.
Hai reso bene, se la vita non ti basta allora scrivi, ovvero se la vita districa senso solo scrivendo, perché trovare le parole è dare forma.
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