Liggera, o lingera, sempre con l’accento grave sulla e, sta per malavita milanese. Ma donde derivi questo termine non è chiaro, ovvero si sprecano le ipotesi. A dar retta al Gadda, che ne sa eccome, «La “lingèra” è la teppa, la malavita: in una sfumatura piuttosto blanda e scherzosa. il ‘lingèra’ è il teppista, il bullo. Probabile parafonia dall’ital. leggiero» (L‘Adalgisa, pag. 65, edizione Garzanti). In sintesi, è la malavita che non giunge a soluzioni estreme, quindi per l’appunto ha la mano leggera: ecco l’origine, che si adatta perfettamente a certi tipi sociali un po’ mascalzoni e disadattati, e un po’ poeti, magari; vagabondi, teppisti e fannulloni secondo il Battaglia, volume VIII, che riconduce il termine alla voce “leggera”. Leggera perché il tipo è a corto di mezzi, ovvero misero in canna. In ogni casi quelli della liggera sono figli di una provincia che gravita attorno alla capitale lombarda, che qui arrivavano carichi di sogni e di fame. Ma trovo un altro etimo molto interessante nel volume Simulando contentezza di andare in America, che racchiude le memorie sudamericane di due emigranti bergamaschi, Agostino e Francesco Tiraboschi (edizione Centro Studi Valle Imagna). Qui si legge a pagina 78-79: «Ritornammo al paese con tutti gli attrezzi e anche la lingera»: ovvero, come si spiega in nota, il semplice fagotto dei pochi beni trasportato con un bastone sulle spalle. Quindi la lingera è nome che deriva da quelle poche cose che uno si tira dietro quando tenta fortuna; in ogni caso un fardello leggero, va da sé. Cosicché il termine per estensione va a prendere coloro che nel nuovo ambiente cercano sì lavoro, ma sono anche disponibili a far andar le mani, se serve, ovvero se si raccatta qualcosa. Pronti anche a far andare le unghie, che sta per sgraffignare. Su questi temi vi rimando al mio racconto Tiro mancino.
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