Breve storia delle lacrime 1

Vincent van Gogh, Sulla soglia dell’eternità (1890, part.).

«Chi scriverà una storia delle lacrime?», si chiede Roland Barthes nei Frammenti di un discorso amoroso. È un desiderio, o forse un monito, chissà. Certo la domanda ci fa capire che lacrime e pianto appartengono a una dimensione sociale, non semplicemente naturale. Piangere è un gesto umano, frutto di evoluzione della specie, le lacrime sono espressione di un uomo – in senso lato – che ha tempo per piangere, ovvero non è inchiodato alla pratica quotidiana del trovar cibo e riprodursi. Un uomo che può ad esempio alzare gli occhi e contemplare il cielo, che si stupisce e interroga, come dice la filosofia a proposito del suo stesso vizio d’origine. Eppure le lacrime sono il primo gesto di vita, quando il nascituro libera i polmoni dal liquido residuo. Piangere per il neonato è tutt’uno con il respiro. A partire da questo istante, un detto indiano sintetizza l’intera vita: «Quando sei nato, stavi piangendo e tutti intorno a te sorridevano. Vivi la tua vita in modo che, quando morirai, tu sia l’unico a sorridere e chi ti sta intorno invece pianga».

Fisiologica
Il bambino di pochi giorni che piange per fame vuole portare attenzione sul proprio bisogno, dunque il suo pianto è già decisamente sociale. Lo dice bene Tennyson in una sua poesia: «Un bimbo piange nella notte: | piange perché vuole la luce | non ha altra parola che il pianto». Già, il bambino è infante, ovvero etimologicamente privo di parola. Da adulti è un’altra cosa. Versare lacrime invece che impiegare le parole è una strategia che la tradizione popolare collega all’astuzia femminile: «Una donna ha torto fino a che non piange», recita uno tra i proverbi più maliziosi. In maniera simile si esprime un retore del calibro di Catone: «Quando una donna piange, con le sue lacrime sta costruendo una trappola». Per Otello ogni lacrima di Desdemona che cade a terra genera un coccodrillo. Nella follia del geloso, il pianto di Desdemona dà vita all’animale che è l’emblema stesso della finzione; quello che, nell’aprire le fauci per inghiottire la preda, stimola i condotti lacrimali: le lacrime sono così il prodotto dello sforzo, non certo l’esito di un pentimento. Tutt’altro che affranto è il Tricheco nel Paese delle meraviglie: mentre divora ostriche su ostriche, piange per simulare rispetto verso di loro. siamo nel capitolo delle lacrime false, versate per lavarsi la coscienza e rafforzare le proprie egoistiche ragioni.

Origini
Il termine lacrima è comune a tutte le lingue indoeuropee. Lo troviamo identico in greco, latino e italiano; in spagnolo abbiamo lágrima, in francese larme. Il termine Träne ha origini alto-tedesche, e ha generato l’inglese tear, espressione che si usa anche per indicare strappo, lacerazione. Come a dire: le lacrime sgorgano dalle fratture interiori, sia di gioia, sia di dolore. Nei momenti felici, il pianto testimonia la nostra gratitudine per quello che stiamo vivendo, per quell’istante di felicità che ci pareva irraggiungibile, o magari per la consapevolezza che le cose belle durano poco. Nei momenti più difficili, grazie alle lacrime i sentimenti negativi si disperdono, scrive San Tommaso d’Aquino. Sono una benedizione, aggiunge, perché corrispondono perfettamente alla disposizione di chi soffre. Alcuni miti narrano l’origine dell’universo proprio ricorrendo alle lacrime: per gli antichi Egizi, l’umanità nasce dalle lacrime del dio Ra. Lacrime e vita, ma anche lacrime e cosmo. Secondo Torquato Tasso, che di sentimenti ne sapeva più di tutti, la tristezza d’amore non riguarda il singolo poeta, ma contagia l’intero universo. Come accade in questa sua Rima d’Amore.

Qual rugiada o qual pianto,
quai lagrime eran quelle
che sparger vidi dal notturno manto
e dal candido volto de le stelle?
E perché seminò la bianca luna
di cristalline stille un puro nembo
a l’erba fresca in grembo?
Perché ne l’aria bruna
s’udian, quasi dolendo, intorno intorno
gir l’aure insino al giorno?
Fur segni forse de la tua partita,
vita de la mia vita?

Nel poema di Chaucer The Complaint of Mars, troviamo «tears of blue and a wounded heart (lacrime blu e un cuore tormentato)». Va ricordato che chi è giù di morale in inglese dice «I feel blue». Lo stesso vale per il francese «avoir les blues». E non chiedetemi perché, ma il terzo lunedì di gennaio è il blue Monday, il giorno più triste dell’anno. Pare che le persone si sentano depresse perché proprio quel giorno il cervello realizza che sono finite le festività natalizie e che i mesi successivi saranno caratterizzati da pochissime vacanze. E di sicuro qualcuno verserà lacrime all’idea […] continua.

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