Telefonate

Quando si scrive di finzione, i dialoghi son l’inciampo principale. A voce, infatti, mica s’infioretta come per iscritto, per cui chi narra ne deve tener conto, assumendosi il rischio di commettere infrazione. Tutto questo panegirico per dire che, nell’individuare il brano che più di altri ho faticato a scrivere de La cantante, ho scelto senza esitazione il capitolo che riporta due telefonate. Al telefono, infatti, i dialoghi sono ancora più difficili e stringati, fitti di rimandi e sottintesi. Se poi aggiungete il Curnis, che deve chiedere un favore al suo datore di lavoro parigino, con un grammelot che solo lui può capirci qualcosa; e un bergamasco, il Pinetti, che parla con il presidente nazionale del Reale Automobil Club, il torinese Masoero: beh, capite bene che il quadro si fa chiaro, o meglio si complica a dovere.


Telefonate

«Uì, messiö Lapèn sif vù? Süì Spirì Curnìs, é lauràt de vù avèc la vuatür numeró sènch. Uì, del bù, só pròpe muà! Eh, bièn, ché a Berghèm alla mesòn và töt bièn. E vù óter lé? Ah, che bièn! Suì contènt de… còm, ün óter ènfànt? Alà, del bù? Ma che bèl, complimènt a sò madàm. Alòr, uì, perdònne muà, messió Lapèn, mé l’appèl per ön petì laùr, nù isì a Berghèm ’n g’avrèss besuàn…»
Il primato stabilito giusto un’ora prima da Spiridione Curnis, ottantasette parole filate senza interruzione, venne ridotto a brandelli quello stesso pomeriggio del 5 febbraio 1935. Purtroppo questa seconda prestazione non venne omologata per assenza di testimoni: Esperia, infatti, dopo la sceneggiata convenuta, si era tenuta a distanza, fingendo di interessarsi alla réclame appesa al muro.
“Il telefono è utile, pratico e necessario” recitava un manifesto; da un altro, un poveruomo malmesso confessava a occhi bassi: “No, purtroppo il telefono non ce l’ho”. E vorrei vedere, una lira al giorno era un furto.
Le ragazze del posto pubblico erano troppo prese a darsi di gomito, della serie cosa è venuta a fare quella lì, a portare a spasso le corna? Ora, in quanto donna del popolo, Esperia sapeva bene che non si perde l’appetito se una mosca ti casca nella minestra. Ma allo stesso tempo era rimasta appesa alle antiche promesse del suo uomo, anche se non ignorava che i maschi certi voti li tirano fuori solo quando gli prude il circuito, per poi rinnegare il contratto a fregola risolta.
La signorina preposta al minutaggio della telefonata, infine, essendo l’ultima arrivata, si era persa via a decifrare tutta quella agitazione: non poteva essere per il Curnis; no, c’entrava per forza quella di prima, carina fin che vuoi, ma si vede che ha fatto il suo tempo. “Ci dev’essere qualcos’altro” si ripeteva, e per capire di che cosa si trattasse continuava a spandere tanto d’occhi e orecchie, a momenti il naso. Dimenticandosi del Curnis, quante parole, la telefonata, il tempo della quale, diobuono!
Insomma, quel pomeriggio alla Stipel di via Torquato Tasso in Bergamo nessuno registrò la fantasmagorica esibizione del biciclista, peraltro condotta in condizioni estreme, ovvero nel memorabile grammelot di un bergamasco che aveva imparato l’idioma per le vie di Parigi e in trincea, a suon di ordini e granate.
Spiridione lasciò l’apparecchio fradicio e disfatto, sembrava il garzone che cerca di tirare la vacca dentro il macello: chissà come, la bestia capisce che là dentro c’è qualcosa che non quadra e recalcitra di brutto, con tutti i suoi quintali a trattenere.
«L’è fàcia», è fatta, si limitò a riferire a Esperia Milesi in Locatelli, una formula equivalente a un pagherò; per poi rientrare nei ranghi ermetici e rintanare la favella chissà dove. Alla domanda tutta occhi della donna, sganciò qualche dettaglio a modo suo.
«Il Lapèn mi ha detto che va bene, ci manda lui qualcuno per correre.»
Pausa della serie chi lo sa se ho capito giusto.
«Però adesso il Carlo la deve mocare, siamo mica i suoi burattini» esalò sigillando la vicenda.
Quasi negli stessi minuti, il Pinetti si era deciso a prendere il toro per le corna, per rimanere in ambito bovino. Aveva scomodato con un cablo il presidente del Raci nazionale, Amedeo Masoero, chiedendogli un appuntamento telefonico per quella stessa sera.
“Una mano ce la devono dare i bagnacauda, altrimenti col cavolo che gli reggo il bordone alla prossima nomina.”
All’ora convenuta, si attaccò all’apparecchio in sede Raci.
«Certo Pinetti che anche voi, ridurvi così sotto data, ma hai presente?» esordì sul lamentoso il Masoero.
«È colpa del Castagneto, Amedeo, accetta l’incarico e poi sul più bello…»
«Te lascialo stare il Castagna, averne di gente così! Ma l’equipaggio estero, dai, la nostra missiva non era chiara? Vuoi un circuito serio? Eh, allora stavolta per forza che passa lo straniero.»
Pausa della serie sul Piave io c’ero.
«Allora, seguimi che qui non siamo dei frustacadreghe. Ieri ho sentito il presidente francese, è una donna, pensa te come gira il mondo, al nome di Nuvolari si è decisa e mi ha indicato tre-quattro candidati, il migliore dice che è il Romanó, Emilio Romanó, garantisce lei, mando io una richiesta ufficiale a nome vostro. E per la presenza straniera ci siamo.»
Sospirone del Pinetti.
«Romanó ha una Bugatti 3000, lo chiamano Pulce perché guida col cuscino sotto il culo, mi sa che è pure più basso di Nuvolari. Preso nota?»
«Sì, sì certo, più basso del Nivola» giurò il Pinetti, allungandosi a rimediare foglio e lapis.
«Ma cosa cazzo ti interessa sapere quanto è alto il Romanó! Vai al sodo, vai! Comunque, questo Pulce gira sempre con tutta la sua banda, saranno una dozzina, quindi regolati per albergo e tutto quanto. Il francese l’iscrizione non deve nemmeno sapere cos’è, e niente vitto né alloggio.»
Presa d’aria, ricircolo, ripresa.
«La Nis ha anche saputo del concerto.»
«Chi?» protestò l’orobico.
«La presidente si scrive Nice, ma si pronuncia Nis.»
«Aspetta che segno…, Nis presidente Francia. Quindi?»
«Eh, del concerto ho dovuto dirglielo, continuava a far domande, boiafàust
Pausa della serie tutto quello che vuoi, ma niente donne tra i pedali.
«Insomma, prendi nota: il Pulce si porta qualcosa di musicale, roba da orgoglio francese, potevo mettermi in mezzo? Sai come sono quei ciaparàt. Quindi preparati, per il concerto ci sono anche loro, vedrai se non pretendono la Marsigliese; tutto deve filare liscio, i francesi sono degli spacca marroni che non li batte nessuno. E io vorrei evitare.»
Il Pinetti stava sudando come il garzone del macello di cui sopra.
«Comunque il Romanó è in gara, chiaro? Altrimenti ti scordi il patentino di circuito internazionale per Bergamo, lo so che sbavi. Quando le ho detto che da voi si corre in dodici, a momenti la Nis mi stacca la linea, mi stacca. Ma come, tutto ’sto baraccone per dodici equipaggi! Ho capito il Castagna, quello ha in mente solo la sicurezza, figurati, ma potevi metterli un po’ di pressione, dai: quattordici, sedici automobili, magari arrivavi a venti e facevi tombola. Ma ce li avete i rognoni lì a Bergamo? In ogni caso, uno dei dodici è il Pulce, intesi?»
«A questo punto…» deglutì l’altro.
«Voglio sentirtelo cantar chiaro, Pinetti.»
«Sì, il Pulce sarà nei dodici.»
«Oh, così mi piaci, Adone. Dimenticavo: per smuovere tutto quanto, telefonata a Parigi – sarà durata un’ora, sarà durata – lettera carte bolli ceralacche, qui c’è ancora l’odore dei Savoia, te non hai idea, uno pensa di averli sbolognati a Roma e invece… Insomma, questa faccenda ti costa cinquemila lire. E dimmi grazie che c’ero di mezzo io, altrimenti come lo trovavi un equipaggio come si deve in un giorno? Guarda, te lo garantisco, hai rischiato di sborsarne diecimila come niente.»
E pensare che la francese è convinta che il favore gliel’ho fatto io.
«Quindi, Adone, questa cosa ricordatela l’anno prossimo, ci tengo al parere positivo delle sezioni provinciali sul mio operato.»
«Capiti, Amedeo, capitissimi. E comun…»
«Ma ascoltami una buona volta che non ho finito!»
«Cosa?» sudò di nuovo il Pinetti.
«Nei giorni della gara devi ospitare anche la nostra commissione, sempre se vuoi sperare in una seconda edizione per l’anno prossimo. Sta’ attento, vedo di mandarti i più teneri che ho, ma questi son gente che ripicchia anche le virgole, tu dagli sempre ragione, sorridi, e soprattutto falli mangiar bene e bere meglio, e allora vedrai che tutto fila liscio. Intesi?»
«Certo che siamo intesi.»
«Così mi piace il mio Adone. Lo sapevo che come mangiapolenta sei uno di quelli bravi. Però la prossima volta lì a Bergamo muovetevi un po’ prima, sennò tocca sempre a noi di Torino insegnarvi a far le cose come si deve. Ciao, neh!»
Clic.
«Pensa te, cinquemila lire e a momenti mi toccava ringraziarlo!» si sfogò l’orobico.
«Però alla fine abbiamo risolto» si confortò. «Vedrai se non gliela canto chiara a quei quattro deficienti di Città Alta. Dai, abbiamo il Romanó e una Bugatti. E se non ci pensavo io!»
Oddio, sotto sotto il presidente faticava a gioire: un po’ perché il sabaudo l’aveva ripassato, e la cosa non gli piaceva punto; l’altro po’ perché i torinesi proprio non li digeriva, manco fossero Dio in terra.
“Qualcuno dovrà pur avvisarli che a dir tanto sono la capitale del grissino” distillò per contraccambiare il veleno.
«Com’è che dice il proverbio? Torinesi falsi e cortesi. Oddio, il Masoero falso lo è di sicuro, ma cortese proprio non ci siamo.»
L’avesse sentito il Dante era la volta che scattava l’abbraccio.

3 Commenti

  • Ida Bamberga Premarini Posted 30 Luglio 2022 17:41

    Non so se si tratti di un caso (cosa di cui dubito) o piuttosto di una sapiente strategia (molto più propensa), ma è comunque indiscutibile il risultato, almeno per quello che riguarda me. Mi riferisco allo stralcio dal suo romanzo “La cantante”. Mi è successa la stessa cosa alla proposta di un brano di “Il sorriso del conte”. Pur essendo godibile di per sé, risulta impossibile fermarsi a quello, bisogna riprendere in mano il romanzo e ripartire da capo. Inevitabile! Anche in questo caso si ha la sensazione di assaggiare con grande piacere un sorso di vino pregiato, avvertendo poi la necessità insopprimibile di degustare l’intera bottiglia. “Telefonate”: pagina troppo intelligente, raffinata e arguta per non far parte di un quadro di ben più ampio respiro! Risultato? Libreria di casa, “La cantante” sottratto al reparto Calzana”, comoda poltrona, e alé, si riapre il teatrino: «Sua Altezza Adalberto Luitpoldo Elena Giuseppe Maria di Savoia si aggirava per il palco in divisa leggera….». E mi troverò nuovamente a sfogliare l’opera d’arte capace di sollevare il cuore, muovere al sorriso e regalare un’istantanea inaspettata della nostra città.

    • Claudio Calzana Posted 30 Luglio 2022 17:43

      Se il paragone non fosse irrispettoso, gentilissima Ida, commenti come i suoi andrebbero stampati e distribuiti come Santini alle feste di precetto…. Grazie!

  • Paolo Amoroso Posted 15 Luglio 2022 12:06

    Se si può dire, mi sono scompisciato dal ridere…

Aggiungi Commento

Rispondi a Ida Bamberga Premarini Annulla risposta

Your email address will not be published. Required fields are marked *