Nella provincia meccanica

Dopo aver affrontato da par suo Il sorriso del conte, Marco V. Burder passa a Esperia, prima porzione della mia trilogia. Sceglie Miró per copertina, e la meccanica per insignire la mia storia e la provincia.

Joan Miró, La stella del mattino (Esperia è una stella prima che un’automobile)

Immagino che quando fu scritto questo romanzo ancora non si prevedeva in dettaglio, e forse neppure all’ingrosso, di proseguire la saga con altri due volumi. Perciò, per cominciare questa ricognizione tardiva sui tuoi testi, per ora mi limito alla “nascita” letteraria delle dramatis personae orobiche. Sulla vicenda in sé, col suo tocco di mistero risolto con espediente à la Blow-Up (film), non mi dilungo: ha un discreto andamento farsesco, condito con i particolari di pranzi, di medicinali, di cosmetici, di ambienti, nonché di caratteristiche fisionomiche che ben li accompagnano in un mondo a sé, quasi fuori dalla Storia e, dunque, in una disponibilità mitologica che crea il proprio universo e lo controlla. Su tutta la narrazione aleggia uno spirito bonario, partecipe e scevro di qualunque pressione drammatica: non è nelle corde. Non vi appaiono contrasti di classe, né risentimenti d’altra origine, nemmeno quelli vendicativi da parte dei truffati o dei loro aiutanti dal poderoso sembiante americano. Tutto si risolve in una bicchierata forzata ma irenica com’è nelle beffarde tradizioni partenopee, nelle quali chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato. Maggior attenzione ha suscitato in me l’aspetto stilistico, ovvero la modalità con cui la vicenda prende sostanza e al contempo s’intride di spirito leggero, con dei dialoghi capaci di una popolare evidenza teatrale, collegati nel contrappunto di osservazioni e descrizioni del narratore che rappresentano il vero motore, sia ironico sia morale, del testo tutto. In questo commento continuo e implicito, che scorre in tutta la parte fuori dialogo, risiede secondo me l’elemento caratteristico della prosa e, in fondo, il suo stesso programma poietico. Far divertire, far sorridere, va bene: ma con strumenti linguistici che rientrano non solo nella funzione espressiva (con un “espressionismo” tendente al buffo e allo spiritoso) o in quella conativa (che ironizza più che moraleggiare), bensì ancor più in quella che mi pare una vocazione metalinguistica. E qui sta il pregio, ma insieme il rischio, di un’operazione letteraria così congegnata: perché il gioco col linguaggio, la sua continua valorizzazione in tono basso affinché ne sia gratificata però l’esigenza alta e allusiva, richiede infine una tensione che rischia d’impegolarsi con la faciloneria di alcune ripetizioni, ovvero tic verbali, che con frequente cadenza minacciano l’ilare serietà del gioco. Mi riferisco alla modernissima locuzione “della serie”: a mio modo di sentire, un inutile ossequio a un abusato intercalare giovanile degli anni Ottanta, e oltre, che purtroppo mi punge l’occhio ogni volta che lo leggo, per altro senza ricavarne l’adeguato slancio comico. Per questo trovo consoni al tono d’insieme, ma per me urticanti, modi di dire come: “della madonna”, “morale”, “alla grande”, “la spiega”, “la comanda”. A parte ciò, per tornare alla funzione metalinguistica e poetica, ovvero al consapevole lavoro sulla lingua per dotarla di una tonalità specifica, esemplare e originale: è notevole il risultato dell’impegno in apparente leggerezza, con un’attenzione che trasferisce tutto il testo in uno specifico folclore linguistico. E qui bisogna segnalare alcuni colpi davvero ben riusciti, sia di concetto sia di lessico. Ne segnalo solo alcuni alla rinfusa. 

In quel mentre dalla porta del forno entrò difilato uno sbadiglio con il Carlo appiccicato dietro”.
Roba che neanche il ‘sole fermati’ di Giosuè”.
Le conoscenze, la via più breve tra due punti”.
Magari siccome ha pianto deve rifarla” (pensiero di Dante Milesi durante il battesimo della figlia Esperia).
Lui vestito come si può, lei come non si dovrebbe”.
… era un po’ in cimbali”.
Fare flanella”.
… però a volte la vittoria divide e la sconfitta avvicina”.
Dito del commissario puntato nel silenzio”.
Per qualche secondo il Berlendis si perse nella luce che filtrava tra vetro e liquore”.
Il ritegno, la modestia e la contesa. La supplica, il rimprovero e il perdono”. (Qui il lettore è incaricato di stabilire opportuni paralleli e simmetrie tra la prima triade e la seconda, con diversi quadranti possibili).

Oltre a questi slanci verbali, vi sono qui e là cripto citazioni (Giacomo Leopardi, Álvaro Mutis tramite Fabrizio De Andrè, ispirato dal Maqroll del colombiano) che impreziosiscono senza tradire l’assunto stilistico di fondo, il quale non manca di strizzate d’occhi al lettore, o di brevi colpetti di gomito per stabilirne la complicità nell’ironia, ovvero: dire in modo esagerato, o allusivo, o antifrastico, o iperbolico, ma garantendosi la tenuta del testo che guadagna in tal modo la tollerante (e spesso divertita) connivenza del lettore.


Diciamo che poco sapete di Esperia: qui trovate tutto, e anche di più.

Lux secondo Marco V. Burder.

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