Sul cocuzzolo della montagna

Nei testi della canzone italiana il mare la fa da padrone. E vorrei vedere, circa otto mila chilometri di costa e un’indiscussa fama di navigatori non si possono certo ignorare. Al mare poi l’amore vien più facile: in montagna la temperatura non aiuta, l’attrezzatura figuriamoci. Ce lo ricorda Rita Pavone: «Dal cucuzzolo della montagna | Sotto un cielo tinto col blu | Con in testa un passamontagna | Scenderemo sempre più giù!». Bello il panorama, ma difficile amoreggiare conciati così. Qualche temerario ha provato a sfidare questa specie di embargo. A prenderla da lontano, in Buonasera Signorina di Buscaglione la swinga così: «Ogni giorno c’incontriamo | camminando dove par che la montagna | scenda in mar». Una storia d’amore per escursionisti, si direbbe. Parecchi anni dopo, Battisti accosta i due paesaggi in una canzone che non è proprio passata alla storia: «Una montagna può sembrare un uomo | se lo decidi |disteso calmo ad osservare il cielo | se tu vuoi così | il controluce di un gabbiano in volo | se lo decidi | può dissipare in un momento il velo | se tu vuoi così». No, carissimo Lucio, i gabbiani in montagna non sono di casa.

Montagna e città

Talvolta nei testi nostrani domina la facile contrapposizione tra la purezza dei monti e la desolazione della civiltà industriale che tutto svaluta e corrompe. Celentano ad esempio si identifica in Serafino: «Con le pecore e un cane fedele, | tre amici sempre pronti, | nei pascoli sui monti, | a una spanna dal regno dei cieli | viveva felice così!». Bucolico, non c’è che dire. Uguale alla Marcella Bella prima maniera: «Mi ricordo montagne verdi | e le corse di una bambina | con l’amico mio più sincero | un coniglio dal muso nero». Anche Renato Zero gorgheggia da queste parti: «Siamo foreste, | montagne inviolabili ma poi | a sorprenderci è il sole | che dissolve le ombre intorno a noi».

Montagna e amore

In altri motivi, invece, la fatica dell’ascensione s’apparenta a storie d’amore non proprio lineari. Come in una delle più famose canzoni di Luigi Tenco, Se stasera sono qui: «Per me venire qui | è stato come scalare | la montagna più alta del mondo | e ora che sono qui | voglio dimenticare | i ricordi più tristi giù in fondo». Già, quando l’amore è fatica, la montagna viene a pennello, ruba la scena al facile baratto che si consuma sulle spiagge. Non per niente la speranza degli innamorati Gianni Morandi la spolmona con queste parole: «Sui monti di pietra può nascere un fiore… | in me questa sera è nato l’amore per te!». (Non son degno di te). E soltanto in un paesaggio invernale Cocciante trova sollievo alle sue complicate pene d’amore: «E poi la neve bianca | gli alberi gli abeti | l’abbraccio del silenzio | colmarmi tutti i sensi | sentirsi solo e vivo | tra le montagne grandi | e i grandi spazi immensi». (Se stiamo insieme).

Montagna e cielo

A ben vedere, però, la fatica dell’ascensione non appartiene alla nostra tradizione canora. Al massimo ci stanno due passi, lontani da folla e confusione. «E mi piaceva camminare solo | per sentieri ombrosi di montagna | nel mese in cui le foglie cambiano colore | prima di addormentarmi all’ombra del destino», intona Battiato in Auto da fe’. E pur se Vasco Rossi ammonisce che «non si può sorvolare le montagne», alcune tra le più famose canzoni italiane di sempre scavalcano i monti a piè pari, sfiorando le vette da posizione suprema. Come Nel blu, dipinto di blu di Modugno, o meglio di Migliacci: «E volavo, volavo felice più in alto del sole ed ancora più su, | mentre il mondo pian piano spariva lontano laggiù, | una musica dolce suonava soltanto per me…». O Pensiero dei Pooh: «C’è sulla montagna il suo sentiero | vola fin lassù da lei pensiero».

Un bicchiere di neve

Per De Gregori la montagna racchiude l’altrove della storia, che tutto pretende e nulla spiega: «E alla sera da dietro a quei monti | si sentono colpi non troppo lontani | c’è chi dice che sono banditi | e chi dice Americani | io mi chiedo che faccia faranno | a trovarmi in cucina | e se vorranno qualcosa per cena». (Il cuoco di Salò). La medesima dimensione della struggente Lugano addio di Ivan Graziani: «Tu, tu mi parlavi di frontiere | di finanzieri e contrabbando | mi scaldavo ai tuoi racconti | -Eh mio padre sì, – Tu mi dicevi, | – Quassù in montagna ha combattuto!-». Ma è pur vero che la vera poesia delle vette irrompe in immagini fugaci e repentine. Ad esempio, in Spunta la luna dal monte di Gianfranco Bertoli (e i Tazenda di Andrea Parodi), quando la montagna si fa cortina di una magica apparizione, che ci lascia attoniti e migliori; o ne I treni a vapore di Fossati, che regalano alla neve la sua misura e perfezione: «Mi sogno i sognatori che aspettano la primavera | o qualche altra primavera da aspettare ancora | fra un bicchiere di neve | e un caffè come si deve | quest’inverno passerà».

Immagine cui fa da contrappunto l’elegia che trent’anni fa Piergiorgio Benda ha scritto per Mina: «L’uomo chiese alla montagna | il vento | per posare il suo pensiero | sulle orme del tempo | perché qualcosa resti | del suo lungo viaggio | anche nel più lontano punto | del suo cammino. | L’uomo chiese alla montagna | di toccare il cielo, | la montagna realizzò | quel suo desiderio | e quando fu così | una nuvola lo sfiorò | in fondo al cuore che malato è | di nostalgia».

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