Si sa come funziona il Grande Circo Invalido della Comunicazione: un qualche sociologo, piuttosto che una penna ardita, ti inventa un termine destinato a chiara fama. Chessò, i bamboccioni, gli haters, gli sdraiati, i riempi-agenda, i cavafiato, gli sfasciagandoli… E allora mi son detto: ci provo anch’io: ed ecco a voi gli “illibrati”, termine che propalo in rete, sia pur protetto da opportuno ©. Gli illibrati sono i tanti, troppi, vergini da libro. Ora, sia chiaro: è quasi impossibile non aver mai avuto contatto con un testo, quanto meno sfiorato, aperto per caso, inciampato. Però sono in molti che non ci fanno conto, lo considerano un incidente di percorso, maligneria, inutilia tantum. Insomma, gli illibrati mai che arrivino al rapporto completo con i libri, alla compenetrazione assoluta: roba che accade solo quando il libro non si erge come ostacolo di fronte a te, ma diviene parte di te, ti possiede, o tu con lui, non è chiaro il primum movens. E la scuola, dirà qualcuno? Gli studenti, a veder bene, hanno rapporto con succedanei che del libro hanno la facies, mica il sigillo. A scuola i libri sono per l’appunto manuali, e qui non faccio la battuta perché ridete di più se ci arrivate da soli. E gli universitari, insisterà qualcun altro? Ecco, appunto. Da quel che vedo e annuso nelle nostre facoltà, del libro si danno a leggere perlopiù parti e porzioni, mica l’intero. Il rapporto con i libri è ritagliato, interruptus sul più bello, comunque svelto, agito nel pensiero, almanaccato. In generale, comunque, l’illibrato è colui che dopo i minuti assaggi della scuola, ha mollato l’idea che il libro possa giovargli, e si nutre d’altro, non indago cosa. Gente perduta tra la perduta gente. Poveri cuori, non sanno che si perdono, fan tenerezza per quel minimo abbandono. E qui mi vien da dire che se si trovasse qualcuno che i libri proprio li scansa tutti per principio, che non li fila manco, ecco lì magari si potrebbe pure incontrare un pensiero incontaminato e vivo: l’illibrato vergine davvero, una sorta di Emilio russoiano tutto pratica e natura, venuto su selvatico ma non per questo ignorante e sregolato. Certo, io sto dalla parte di chi coi libri commercia spesso, per non dire fornica di gusto. E questo mica è peccato: qui siamo nei pressi del Cantico dei Cantici, dove il desiderio si fa gesto umano e consapevole, bellezza rara. Perché un libro è buono e vero se ti vien voglia di contarlo su agli amici: anzi, se ti va di farlo conoscere a tutti, in una prospettiva assai poco illibrata, devo dire. Insomma, un buon libro lo capisci se fa tamtam, gruppo di lettura, orgia squisita. Senza tacere, in conclusione, che per ciascuno di noi lettori c’è comunque un libro solo che ci tocca da presso. Il preferito? Forse. Di certo il libro che sorprende a ogni lettura, il libro cui affidiamo l’orizzonte. Per non dir la cura.
La mia prima volta con un libro.
1 Commento
Intorno a me è pieno, li si riconosce dalla parlata zoppa….
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