Non è meglio una testa ben fatta?

Oggi prendiamo spunto da Montaigne, quando scrive che «è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena». E qui all’insegnante dovrebbero drizzarsi le orecchie, le antenne e persino le ali. Sì, perché a ben vedere l’intero nostro sistema educativo tende alla specializzazione – tante materie, tante nozioni – e non sempre a una visione d’insieme capace di far comprendere agli studenti i problemi di fondo che assillano la nostra epoca. Lo chiarisce bene Edgar Morin: «l’iperspecializzazione impedisce di vedere il globale (che frammenta in particelle) così come l’essenziale (che dissolve)». Cioè, qualsivoglia disciplina deve tener conto del contesto nel quale opera: ogni semplificazione non è parte della soluzione, ma del problema. Sempre secondo Morin, il nostro sistema scolastico (e scrive della Francia di fine Millennio) «invece di opporre correttivi a questi sviluppi, obbedisce loro». Piuttosto che avere a cuore una visione globale, bambini e ragazzi vengono così condotti per mano a frammentare i saperi e a isolare i contenuti. Ecco il punto: uno specialismo privo di contesto e di visione atrofizza le menti, ignora i legami necessari tra gruppi e persone. Se sono responsabile solo di quel che mi tocca, non è colpa mia se tutto va storto e poco funziona. Saranno poi altri a doverci pensare. Ecco allora che la solidarietà va a farsi benedire, che ci si relaziona solo con il parente più stretto: e l’indifferenza giustamente prevale. Morin sosteneva che servono nuovi paradigmi per pensare e organizzare questa emergenza. Una disobbedienza civile alle specializzazioni ci sta se in cambio riusciamo a educare alla vita.

E a proposito di scuola, non dimentichiamo che solo puffando s’impara.

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