Puffando s’impara

Chi si addentra nel complicato mondo della scuola – per tacer delle aziende, che meriterebbero un’apposita sezione – deve aver chiara un’importante verità: tra professori e ragazzi, senza scordarsi applicati, segretari e non docenti, vale un gergo tutto particolare, che a volte rende difficile la comunicazione. Non mi riferisco solo alle mille sigle e acronimi speciali: Pon, Pof, Rav, Sbam, Slurp, Zang, Tumb (un premio a chi distingue i veri dai falsi). No, il tema è più delicato, perché riguarda la relazione tra l’educare e il prosaico daffare quotidiano. Mi aiuto con un esempio: avete presente i Puffi? Sì, gli esseri blu inventati 60 anni fa da quel genio di Peyo. La nascita del nome è interessante: a tavola l’autore chiese a un amico di passargli la saliera, ma siccome non gli veniva il nome partorì un improbabile «Schtroumpf», da noi poi tradotto con Puffo. Al che l’altro rispose senza un plissé: «Tieni, ecco il tuo Puffo, quando avrai finito di puffarlo, me lo ripufferai». A quel punto Peyo si trova ostaggio del termine, lo usa di continuo finché, per liberarsene, inventa per l’appunto il popolo blu con tutte le sue saghe e avventure. Dove voglio parare? Chi dall’esterno si interroga su quel che avviene a scuola non sempre capisce quel che si puffa entro le mura. È proprio come Gargamella, il gigante antagonista con tanto di Birba. Ebbene, i Puffi riconoscono Gargamella non per l’aspetto, parecchio diverso dal loro, ma per il linguaggio: lo stregone usa a sbrodolo l’espressione prevalente degli esseri blu. Non sa dosare il puffese e per questo viene riconosciuto e rintuzzato. In breve: la scuola dovrebbe imparare a puffare di meno, diciamo il giusto. E certi Gargamella dovrebbero ricordarsi che i Puffi vanno lasciati puffare: perché magari tra i banchi si sta puffando qualcosa di bello e di vero.

Se siete arrivati fin qui, magari il tema scuola vi interessa.
 

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