Mi scrive Lucio a proposito di un passaggio del mio romanzo Esperia.
Mi perdonerai per un dubbio che mi era sorto mentre leggendo ricostruivo lo spazio di una scena. Fai sedere Berlendis e il Carlo Milesi sui gradini di fronte a Santa Grata Inter Vites. Come sai lì di fronte non c’è lo scalone vero e proprio, ma una piazzetta con due scalette laterali. Difficile pensare che i nostri si potessero sedere sulle scalette. Ma non è stato difficile scoprire che ai tempi dei fatti lo scalone (detto di San Gottardo) in realtà giungeva fino in via Borgo Canale e quindi è plausibile che i nostri si fossero davvero lì seduti. Secondo i documenti degli archivi comunali fu solo 50 anni dopo i fatti narrati che Luigi Angelini realizzò la piazzetta in fronte alla chiesa e le due piccole rampe laterali. P.S. Insomma, aveva le sue ragioni Michelangelo sul capolavoro come arte del dettaglio…
Grazie, Lucio, con queste tue acute puntualizzazioni mi permetti di mettere a fuoco un aspetto che mi sta molto a cuore. In sintesi: ma un romanzo storico deve studiar in dettaglio la storia, ovvero andar via sereno sul filo della fiducia concessa dal lettore? Ecco, io sono del partito manzoniano: il vero è decisivo, fondamentale, guai a prendere il lettore per i fondelli. Certo, ci sta di sbagliare, di non tener conto di questo e di quello, ma io studio e verifico sempre, se posso, ogni dettaglio dei miei libri. E’ una forma di rispetto, ci tengo molto, proprio perché ci sono lettori attenti come te che non si accontentano di quel che leggono, vanno a controllare, spulciamo carte, voglion toccar con mano. Certo, il buon Manzoni su ‘sta cosa del vero se la vide brutta, nel senso che a un certo punto non gli riuscì più di scrivere un rigo a forza di verifiche e controlli. Il vero era la sua nevrosi, povero cuore. Ma attenzione: il narratore non è uno storico: questi tutto deve conoscere e sapere, il primo invece si contenta di particolari dettagli (ecco Michelangelo…) che scatenano la sua storia e li cuce insieme grazie ai personaggi. Insomma, il romanziere sceglie il suo percorso, è più libero e agile dello studioso; e spera, questo sì, che i lettori si facciano prendere così tanto e bene dalla narrazione da perdonargli possibili svarioni. Perché alla fin fine questo è il succo: lo storico insegna, il narratore commuove. [ccalz]
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