Trent’anni dopo

In Irpinia, tra 1980 e ’81, per circa tre mesi sono stato volontario durante il terremoto di ormai quasi trent’anni fa. E’ per questo che in questi giorni, ogni volta che accendo la tv o apro un giornale, rivedo scene già viste.
Per un periodo sono stato capocampo a Teora, alle prese con abitanti, esercito tedesco, alpini, comune di Merano, regione Lombardia. Senza trascurare il freddo polare, le docce all’aperto, la neve alta per le strade inagibili, le continue ruberie, gli sprechi… Di quel periodo ho un sacco di ricordi, sia pur in ordine sparso. Ricordo ad esempio che non ero capace di far niente: in questi casi serve gente in grado di far andare le mani, di muoversi a tempo, a modo. Da buon iscritto a filosofia, giusto per fare un esempio, ci ho messo un paio di giorni per capire come si inchioda un prefabbricato. Ma ci ho messo molto meno per capire che, oltre ai morti, ai feriti, ai senzatetto, ci sono aspetti che non vanno sottovalutati: a un certo punto, tirata la formaldeide sulle macerie per evitare infezioni (la puzza ce l’ho ancora dentro), si trattava di rasare al suolo tutto quanto. E la popolazione chiedeva invece di poter andare a macerie (così si diceva) per recuperare quel poco che poteva dare dignità e senso al dolore: qualche fotografia, un indumento particolare, la cartella di scuola del figlio scomparso. Ci furono accanite discussioni, e non mi pento della decisione ultima di consentire per qualche giorno queste pericolosissime visite alle macerie. Ricordo sguardi commossi e felici per il ritrovamento di quelle cornici scheggiate, del maglione a brandelli, della conserva della nonna. Ricordo distintamente che non ci sembrava di rischiare la vita: semmai che la vita, la nostra vita, ci sembrava preziosa e bella, come non mi è mai più capitato. (dal tg del 24 novembre 1981)

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