Capo campo

Teora 1980. Volontari di Montecchio Maggiore, con aiuti anche da Gemona del Friuli (Fonte Protezione Civile di Montecchio Maggiore).

I miei ricordi di oltre 40 anni fa si intrecciano con la catastrofe avvenuta tre giorni fa in Turchia e Siria. Sento che proseguire il mio racconto è ancor più un dovere, anche se la coincidenza rende queste mie parole una povera cosa rispetto all’infinito dolore che notizie e immagini quotidianamente portano nelle nostre case.

[21] A fine gennaio 1981 venni “promosso” capo campo della sezione altoatesina. Non per chissà quali meriti, semplicemente per anzianità di servizio: da più di un mese stavo a Teora. Senza affatto smettere di distribuire aiuti, iniziai a occuparmi anche di alcune faccende più “politiche”, diciamo così. Partecipavo più assiduamente alle riunioni di coordinamento che si tenevano ogni sera, o quasi. Ricorda Luisa Morgantini, delegata FLM, che inizialmente questi incontri vedevano la presenza dei soli gruppi di volontari: «La preoccupazione del coordinamento dei volontari era quella di organizzare il lavoro, distribuire i viveri, portar via le immondizie, il problema del cimitero […]. Però nel coordinamento dei volontari mancavano le persone del paese, c’erano volontari e basta» (in Pierluigi Sullo, La casa di Rocco, Edizioni Lavoro 1981). Fu Luisa a spingere per la presenza dei teoresi, non senza qualche difficoltà. «Abbiamo fatto qualche riunione con un gruppetto di giovani, dentro ‘sta tenda incredibile, al gelo, senza la luce, un tendone che era rimasto lì, abbandonato nel fango, per cercare di capire cosa si poteva fare». Alla fine riuscì a far convivere volontari, teoresi e autorità varie, nel segno di quel che scrive Moscaritolo nel suo Memorie dal cratere: in situazioni estreme, in particolare dopo i disastri, appaiono «… fenomeni sociali emergenti che comportano norme, pratiche sociali e forme di organizzazione nuove rispetto all’ordine sociale precedente». Si va dai piccoli gruppi che affrontano la primissima emergenza all’improvvisazione per affrontare e risolvere problemi inediti. Accade come nel jazz: a partire da un tema, i musicisti improvvisano una propria “fuga” musicale, tenuta assieme dalla ritmica e dalla chiave. E qui mi ritrovo in pieno, non solo per l’esperienza vissuta a Teora, ma anche perché al tempo scrivevo di jazz per un quotidiano locale, oltre a organizzare concerti con vari artisti.

In qualità di responsabile avevo accesso agli aiuti che giungevano da Merano. Oltre ai generi di prima necessità, arrivava anche parecchio contante, decine di milioni di lire che mi venivano consegnati dai volontari meranesi in transito – erano il frutto di collette più o meno ufficiali – e talvolta anche da persone capitate a Teora da varie parti del Paese. Il mio compito era quello di smistare questi aiuti a chi ne aveva più bisogno. Sì, avete capito bene: mi toccava scegliere chi stava messo peggio in un paese dove tutti, o quasi, stavano messi male. Per un po’ lavorai di concerto con sindaco e il suo vice, che proprio nel palazzo comunale mi presentarono alcune famiglie del paese. Era ovvio che mi indicassero le situazioni che conoscevano meglio, ovvero si arrendevano alle persone più insistenti. Ma molti teoresi, troppi, non venivano raggiunti dagli aiuti. Per questa ragione preferii andare a vedere con i miei occhi sul campo, anche perché c’era il concreto rischio di dimenticare le campagne. Mentre altri volontari stipavano la jeep, la mattina presto preparavo le buste con il denaro, da mezzo milione a 3-4 volte tanto. Prima giravamo il paese tra tende e roulotte, senza trascurare le baracche; poi si partiva alla volta dei casolari. Nel distribuire i contanti, bisognava rispettare un rituale preciso: la busta non andava affatto ostentata, ma fatta scivolare nelle mani del capofamiglia – senza dare nell’occhio – al termine della visita. La quale visita per prima cosa prevedeva che si accettasse un bicchiere di vino, un liquore, del formaggio, un caffè; per poi lasciar spazio a qualche accenno di dialogo, cercando di evitare le note dolenti, i ricordi più duri. Bisognava guardare avanti, gli occhi rivolti alla speranza di momenti migliori. Io pigliavo quasi sempre un caffè, tanto che a fine giornata ne avevo cumulati minimo una dozzina. Una sera ebbi uno sbalzo di pressione tenuto a bada dal medico della regione Lombardia: ero arrivato a 280 di massima, accidenti. Dal giorno dopo ridussi eccome i caffè, a vantaggio di assaggi dolci e salati. E certo non mi sottraevo all’invito a pranzo, perché se capiti da una famiglia di irpini vicino all’ora sesta sappi che non puoi rifiutare l’invito, questa sì che è offesa grande. La cortesia e ospitalità di questo popolo mi commuoveva; e mi ha commosso anche questo settembre, quando con Paolo siamo tornati in zona. Non appena venivamo “scoperti” – cioè quando alla domanda «Chi siete? Che ci fate qua?» saltava fuori che eravamo stati volontari 42 anni prima – scattava una sorta di “sequestro” che non ammetteva repliche: invito al bar più vicino, dove tutto era ovviamente offerto, omaggi di leccornie assortite, chiacchiere in libertà e ricordi da parte di chi al tempo c’era. Ma anche i giovani, che del terremoto ne hanno sentite tante, ci tenevano ad ascoltarci, perché magari a loro mancava giusto la nostra versione. Il giorno della partenza, la signora Lucia Russomanno di Caposele – abbiamo alloggiato in uno dei suoi splendidi appartamenti – ci ha donato olio, vino, limoncello, marmellata, dolcetti, fichi d’india, e mi sa che nel far l’elenco mi sono pure scordato qualcosa. Profumi e sapori d’Irpinia ce li siamo portati a casa, insieme a quell’affetto profondo che riscalda e rincuora.


La neve dal tetto, la ventiduesima puntata. Tutte le puntate del mio Ritorno in Irpinia.

2 Commenti

  • Lapis Posted 10 Febbraio 2023 09:13

    In effetti è così che si cresce, imparando a fare delle scelte. Scelte magari anche difficili, anzi si cresce più in fretta se la scelta che devi fare favorisce qualcuno e nello stesso tempo danneggia qualcun altro. Non so cosa voglia dire a vent’anni, dev’esser stata dura.

    • Claudio Calzana Posted 12 Febbraio 2023 09:36

      Sì, confermo, è stata dura. Ma mi ha fatto crescere in fretta, come nessun’altra scuola.

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