Fagioli

Laviano, un’anziana davanti alla sua baracca. Siamo nel 1990, dieci anni dopo la scossa (foto di Riccardo Venturi).

[14] I miei ricordi si affollano senza un ordine esatto, proprio come i fagioli quando l’acqua bolle: su e giù per la pentola, spinti e rapiti da una certa ragione. Così le immagini non si fanno annunciare, men che meno sopportano di esser messe in fila per un tracciato sicuro, per un’esatta sequenza e andatura. No, vengon su alla rinfusa, e io lascio fare. D’altronde, non avrebbe senso altrimenti, negli anni ho capito che è inutile opporsi, tanto comandano loro. A pensarci bene, però, è strano che io ricordi alcuni dettagli anche minimi, mentre altri momenti magari maggiori sono nascosti chissà dove, in attesa di qualche richiamo per farsi palesi. Le docce, per esempio, quelle le ho ben presenti. Erano al campo di calcio, solo che per via della scossa erano a cielo aperto, prive di tetto. Ora, con una temperatura sempre intorno allo zero, anche di giorno, voi capite bene che l’igiene non meritava per forza il primo posto. Ogni mattina si praticava una fontana vicino alla roulotte, con l’acqua gelida ci si sciacquava la faccia e poco più. Ma prima o poi la doccia bisognava farla, e quindi ci si armava di tanto coraggio. Ecco la scena: salviettone, saponetta e shampoo per mano, sempre in tarda mattinata, quando uno spera che il termometro sia più clemente. Il giorno del mio ricordo però era freddo parecchio: in doccia mi spoglio e già barbello, come si dice dalle mie parti, cioè tremo dal gelo, e attacco l’acqua, ovviamente fredda pure quella. È un attimo, mi butto sotto e devo dire che, al primo impatto, l’acqua sembrava pure tiepida rispetto al clima. Ringalluzzito, mi lavo per bene; poi prendo lo shampoo – era in bilico sul profilo alto della cabina – e lo spremo sui capelli bagnati. Niente. Riprovo, strizzo il barattolo con tutte le mie forze: niente di niente. Un occhio alla confezione: lo shampoo si era ghiacciato nell’attesa.

A quel tempo avevo trovato un lavoro che faceva per me: io che con le mani a dir poco fatico – e pensare che mio padre Giacomo era un aggiustatutto di professione, non c’era congegno che avesse segreti per lui – ero stato coinvolto nel montaggio delle casette di legno, dono del comune di Giussano. Si trattava di trasportare assi lunghe così, in due perché da sole non stavano in equilibrio sulla spalla, si piegavano ad arco a rischio rottura, per tacer del peso. Poi il montaggio vero e proprio: devo dire che con santa pazienza i vari giussanesi mi insegnavano il da farsi, e io le sbagliavo quasi tutte. Mi chiavavano alternativamente «Barba!» – che cresceva ramata – o «Cappello!» – non ero mai senza; il nome proprio si perdeva presto in quei giorni: troppe cose da fare, troppe facce da ricordare. Uno dei compiti era quello di piantar chiodi. Ora, mica chiodi normali, si trattava di faccende lunghe dico poco una decina di centimetri, ma penso pure di più. Un giussanese mi insegnò con pazienza come fare per dare a quegli arpioni la giusta direzione. Non era un colpo dritto per dritto, ché altrimenti il chiodo si ribella a tanta aggressione, e il legno scheggia tutt’intorno, ma dall’alto verso il basso, incrociando la cruna a metà strada. Lavoro di polso e precisione, dove la forza va liberata, esatta, al momento dell’impatto. Non prima, non poi. Chissà come, quell’operazione mi riusciva proprio bene, e ci pigliavo una soddisfazione unica. Le casette vennero inaugurate il 9 gennaio del 1981, accogliendo 11 famiglie, come ricorda Stefano Ventura nel suo Storia di una ricostruzione. Credo sia stata la prima consegna di edifici provvisori dell’intera area irpina. Buona parte dei chiodi che le tenevano assieme fu opera mia, ma il grosso del lavoro fu opera dei fantastici volontari di Giussano, gente solida e solidale. E va ricordato anche il sostegno del comune di Giussano, che per queste costruzioni stanziò ben 450 milioni di lire.

Teora, settembre 2022: casette di legno ancora in piedi.

Figli e padri, la quindicesima puntata. Tutte le puntate del mio Ritorno in Irpinia.

3 Commenti

  • Stefano Posted 22 Dicembre 2022 15:30

    Bel racconto di un momento duro per i terremotati e che rende l’idea di come fosse importante il lavoro dei volontari (sembra una contraddizione in termini..). Aneddoti precisi e nitidi, belli. Grazie tante!

  • Edoardo Gambirasi Posted 22 Dicembre 2022 09:15

    Inaugurate il 9 gennaio 2021 ?
    Va bene i ritardi cronici nelle ricostruzioni in Italia ma qui “refuso ci cova”

    • Claudio Calzana Posted 22 Dicembre 2022 12:30

      Grazie Edo, avevo scritto per errore 2021, poi subito corretto in 1981, ma si vede che avevo salvato male o il sistema si era ribellato…. Insomma, ora dovrebbe essere tutto a posto.

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