
[5] Quando il mese scorso sono tornato a Teora, ho faticato a raccapezzarmi, non ritrovavo le coordinate e i luoghi della prima volta. Un paradosso: nel 1980 mi orientavo proprio grazie alle macerie e alle poche case rimaste in piedi; oggi, di fronte al paese ricostruito, non riuscivo a ricomporre la visione. Solo l’incontro con il sindaco Pasquale Chirico – che, senza appuntamento, con grande disponibilità ha regalato un paio d’ore del suo tempo – mi ha aiutato a fare ordine. Il cuore dei soccorsi, allora, era il campo da calcio, campo che è esattamente dov’era e intitolato al sindaco del 1980, Ettore Chirico, proprio il padre di Pasquale. Diversi volontari stavano nelle tende posizionate nel campo, insieme a parte degli abitanti – molti nuclei familiari erano già sfollati altrove – e cumuli di rifornimenti di ogni tipo, sparsi alla rinfusa, spesso danneggiati per via di un clima davvero insidioso, umido e freddo; a pochi metri dal campo c’era la chiesa grande, con accanto la cappella di San Vito. È la zona contraddistinta dal circolo blu nell’immagine qui sotto. Quando arrivai, ai primi di dicembre, fuori dalla chiesa stazionavano diverse bare, vuote. Ne erano arrivate troppe, questo l’avrei scoperto più tardi, ma le si teneva di scorta, nel fango. Un monito davvero lugubre per chi metteva piede a Teora.

In quei giorni non c’era più alcuna speranza di recuperare persone vive dalle macerie, eppure qualcuno ancora scavava, perché la speranza, si sa, non accetta ragioni. Non si sapeva esattamente quanti fossero i morti, diverse persone mancavano all’appello, molte salme non avevano nome. Un forte odore chimico vagava per l’aria, a folate, veniva dal paese vecchio, quasi interamente distrutto. Mi accorsi che alcune persone, dei volontari a dar retta alle “divise”, giravano con il fazzoletto su bocca e naso. Il rischio epidemie era altissimo, calce e formaldeide venivano sparse per evitare il peggio, ma non ancora a tappeto su tutte le macerie. Seppi poi che molti teoresi erano contrari alla disinfezione generalizzata perché avrebbe aperto la strada alle ruspe, con il rischio che qualche corpo non venisse mai più ritrovato. La paura era quella di non avere nemmeno una tomba su cui piangere e pregare. Rispetto al paese, l’area dove stava il gruppo di volontari altoatesini è indicativamente quella contraddistinta dal circolo arancione. Oggi, proprio di fronte al nostro accampamento di allora, compare una via dedicata ai volontari. Scoprirlo mi ha commosso nel profondo.

La sesta puntata.
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2 Commenti
Questa delle bare in più è terribile, fa accapponare la pelle
Erano un centinaio, e rimasero a lungo sul piazzale. Fino al punto che, passandoci davanti ogni giorno, non le notavamo quasi più. Ma certo atterrivano i volontari che arrivarono nelle settimane successive, cose che forse mi capiterà di raccontare in una delle prossime puntate.
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