Vuoi mettere venturino?

Thomas Kennington, Orfani, 1885

Thomas Kennington, Orfani, 1885

Rileggendo dopo almeno 40 anni “La luna e i falò” di Pavese, mi imbatto in un termine che mi sfugge, venturino. Ai tempi immagino che sarò andato via di fretta, senza sostare un momento accanto alla parola. Oggi no, oggi è diverso.
«Non sai quanti meschini ci sono ancora su queste colline. Quando giravo con la musica, dappertutto davanti alle cucine si trovava l’idiota, il deficiente, il venturino».
Se nel passato venturino stava per soldato di ventura, magari giovane e inesperto, in tempi più recenti la voce regionale piemontese sta per trovatello, orfano, bastardo, figlio illegittimo, abbandonato, esposto. Ma venturino ha qualcosa di speciale, mi colpisce: perché trovatello banalizza la condizione di quel certo ragazzo, orfano la generalizza, bastardo penalizza e insulta, illegittimo vira sul legale, esposto richiama il meccanismo della ruota fuori dai conventi, dove si lasciavano i figli di madre ignota, che a Roma per contrazione dà m.ignota, come tutti sanno. Ecco, venturino invece ha un che di poetico, di candido pure, un rispetto che nelle altre voci non trovo. Venturino richiama la pietà necessaria nei confronti di tutto ciò che è accidentale, occasionale, imprevisto, irregolare e, a suo modo, unico e speciale.

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