Stabili rovine

Calitri, la parte abbandonata del paese

[32] Il paesaggio del dopo terremoto è spesso caratterizzato da stabili rovine, ossimoro che definisce a perfezione il provvisorio: i borghi abbandonati e fatiscenti, con qualche casa rimessa a nuovo – più per ostinazione che per convinzione – ne sono l’emblema più evidente. In prospettiva, si possono immaginare come parchi archeologici, reperti da proporre ai turisti quasi fossero vestigia antiche. Là dove, per ragioni di sicurezza, non è stato possibile ricostruire in loco, si è scelto di rifare tutto altrove e daccapo. A Conza della Campania, ad esempio, le rovine le hanno lasciate a far compagnia ai resti dell’antica Compsa, insediamento abitato dagli Irpini, una delle quattro tribù dei Sanniti sconfitti dai Romani nella battaglia di Benevento del 275 a.C. La nuova Conza, terminata nel 1992, fa un effetto strano: abitazioni poco coerenti al contesto, strade vuote, negozi chiusi senza avviso alcuno. E piazze inquiete, roba da scomodar De Chirico. «Fuori l’antica città era abbandonata e distrutta. Un’altra ne avevano costruita più a valle, senza archi, gradini, volte e cortili. Luccicava nel sole di zinco e cemento», scrive con lucida amarezza Capossela. Giriamo in macchina in lungo e in largo: anche il nuovo paese sembra abbandonato. All’improvviso spunta un runner da una curva, la sua corsa rende ancor più immobili i dintorni. E qui avverto la nota stonata: c’è troppo spazio tra una casa e l’altra, tra le vie, per le piazze vuote. Uno spazio incongruo per queste zone, che toglie il fiato. La conformazione geologica e montuosa, per tacer delle tante sciagure, hanno abituato gli irpini a star vicini, a portata di voce, spalla a spalla, cuore a cuore. La distanza qui è spreco di terra e sentimenti. A Conza tutto appare ammodo, ma surreale, un po’ come capitare in Svizzera senza passare per la dogana. Qui tutto è perfetto, ma confuso. Anche a Calitri vecchia non si poteva intervenire, troppo pericoloso. Qualcuno ha tenacemente deciso di rimanerci, rimettendo in sesto la propria casa, unica tra rovine intignazzate e sghembe. Il paese nuovo è una tavolozza di luce e colori, in un complicato equilibrio con il vecchio lì accanto, che si sgretola e cede. Altrove la ricostruzione ha conservato il paese di un tempo, fissandolo in un profilo da cartolina. Cairano, ad esempio, è un magnifico borgo sospeso in cima a una collina. Lo si scorge passando nei pressi, e subito ti piglia il desiderio di andarci, su per una salita stretta d’altri tempi, di quelle che anche ai muli gli viene il patema. È l’ora di pranzo, nessuno in giro, tranne un paio di muratori intenti a ristrutturare un edificio. Miracoli del 110%, che qui fanno l’effetto che i lavori di un tempo siano ancora in corso. Ristorante uno e in teoria aperto, in pratica tutto chiuso. Per fortuna, gli alberi di fichi abbondano, a disposizione di tutti: quello è stato il nostro pranzo regale, persino più dolce per via del furto che, in quella strada colma di sole, non sembrava reato. Aver riportato il paese com’era, con le strade ripide e strette, significa render difficile il passo alle auto, figuratevi ai Suv. Sa di una manovra difensiva per tenere alla larga i nuovi barbari. Insomma, oggi in Irpinia si trovano paesi rifatti com’erano, oppure borghi totalmente nuovi, e in mezzo l’infinita varietà delle soluzioni intermedie. Ciascuno ha fatto da sé e per sé, e si vede; ciascuno ha fatto quel che poteva, e si vede anche questo.

Buja, Friuli, maggio 1976: manifesti di film in programmazione.

Le coincidenze mi sorprendono sempre, fino a sospettare che non siano tali. Il 6 maggio 1976, la sera della scossa in Friuli, a Buja si proiettava La città verrà distrutta all’alba. Il 23 novembre 1980 al cinema un abitante di Fontanarosa vede Profondo rosso. Da brividi. Quella stessa sera a Lioni era la volta de I contrabbandieri di santa Lucia, protagonista Mario Merola. Spettacolo non proprio appassionante, al punto che qualcuno se ne andò un momento prima della tragedia, salvandosi la vita. Ancora: per raccontare la scossa il signor Tonino di Sant’Angelo dei Lombardi fa riferimento a un film. «Quando siamo usciti nella piazza abbiamo visto una sorta di Apocalypse now… il famoso film… fiamme… ma non le fiamme come raccontano alcuni… “abbiamo visto dal cielo alla terra le fiamme” nel senso che era inverno le case crollate avevano i camini accesi stufe accese… polvere… poi la polvere gialla… asfissiante quindi lamenti disperazioni e urla, grida…» (in Moscaritolo, Memorie dal cratere). Questi rimandi cinematografici mi fanno venire in mente che questa terra potrebbe ben avere una vocazione visiva, legata a film, serie televisive e spot. Non per niente la famiglia di Sergio Leone è originaria di Torella dei Lombardi, il padre Vincenzo fu regista ai tempi del cinema muto. Certo, le pale eoliche diffuse ovunque impediscono i campi lunghi, l’inquadratura va tenuta a bada per evitare anacronismi. In tutta l’Irpinia abbiamo borghi sospesi nel passato remoto e impianti che raccontano di un futuro prossimo e invadente. Insieme fanno un quadro apocalittico e assai poco integrato. Guarda caso proprio a Calitri Amazon ha girato il suo spot di Natale del 2019. Il sotto testo del messaggio pubblicitario era evidente: arriviamo fin nei luoghi più sperduti, e senza Amazon Natale non è proprio cosa. Figurarsi, in Irpinia si sono organizzati da mo’: a cavallo dell’8 dicembre, la manifestazione Pino Irpino fa la spola tra i 118 comuni irpini in sole 60 ore. Un viaggio con l’obiettivo di accorciare le distanze non solo geografiche, ma soprattutto sociali. Dal 2014 ogni anno la carovana promuove raccolte solidali che hanno raggiunto migliaia di famiglie bisognose, in Irpinia e non solo. Di Pino Irpino mi ha parlato Flaviano Oliverio, uno dei promotori. La sua lettera è una delle tante cose belle che questo mio memoriale mi ha regalato. Certo è che, tra pale eoliche e materie prime regalate o svendute, l’Irpinia rischia di ridursi a terra per la terza e quarta età, luogo tanto ospitale quanto definitivamente improduttivo. «Qui vengono molti napoletani la signora Carmela mi ha detto che il villaggio Santo Stefano, un villaggio di prefabbricati, è tutto fittato a loro. Forse fra trent’anni San Mango sarà un residence, un villaggio del turismo rurale» scrive Franco Arminio in Viaggio nel cratere. Sta di fatto che non ho incontrato quasi mai nessuno in questo mio pellegrinaggio. A metà settembre del 2022 di turisti non ne abbiamo visti, eravamo giusto Paolo ed io, magari gente di passaggio per lavoro, quella sì. Nessun turista della nostalgia, o peggio qualche viaggiatore morboso che vuol metter piede nei luoghi di un disastro. Le molte case vuote e chiuse sono abitate soltanto d’agosto, quando i tanti emigranti rientrano per le ferie. Il cuore di questo turismo è la memoria, con le sue contraddizioni, le varie forme narrative, il desiderio di giustizia, la fatica della rassegnazione, la semplice nostalgia. Un turismo che guarda all’indietro, perché davanti non è proprio cosa.


Lampe, la trentatreesima puntata. Tutte le puntate del mio Ritorno in Irpinia.

1 Commento

  • Lucia Posted 27 Aprile 2023 20:57

    Noi dobbiamo riscattare l’Irpinia perché non avremo più un’altra occasione. Dobbiamo crederci e lasciare ai nostri figli una terra nuova da abitare. Grazie per il suo racconto, ci dà occasioni di riflettere e sperare

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