Militari

Una strada d’Irpinia nel dopo terremoto innevato.

[19] Ancora oggi percorrere le strade interne d’Irpinia è parecchio complicato. Il navigatore insegue tragitti tutti suoi senza capire che in queste terre ci si orienta ancora alla vecchia maniera, cercando il sole, interrogando i passanti, guardandosi in giro. Mentre lui, il navigatore intendo, si ostina a voler governare quel gomitolo di strade e ti raccomanda certe mulattiere che l’automobile a momenti si rifiuta d’infilare. Ai tempi del dopo terremoto, potete immaginarlo, era molto peggio. Le strade erano ancor più contorte e minori, e poi ovunque incrociavi detriti, fango, neve. Per raggiungere i casolari sperduti – dove portavamo beni di prima necessità: indumenti, acqua, bombole del gas, legna, cibo – prendevamo a prestito la jeep della Regione Lombardia. In effetti, non ditelo in giro, facevamo anche parte del loro lavoro, e in cambio potevamo usare le loro ambitissime docce calde. Un giorno, giunti a fatica in cima a un dosso, la neve ebbe la meglio su semiassi e differenziale del mezzo. Rimanemmo più di un’ora ad aspettare che passasse qualcuno, il motore al minimo per scaldarci un poco. Nessuno all’orizzonte, e all’epoca mica c’erano i cellulari per avvisare del guasto. Morale, siamo saltati fuori. La neve farinosa, trascinata dal vento, ci arrivava quasi al petto. Procedendo a fatica, abbiamo rintracciato la strada principale e in un paio d’ore abbiamo raggiunto Teora. Bagnati fradici, esausti. Ma non era finita: con un camion chiesto in prestito ai militari tedeschi siamo andati a rimorchiare la jeep. Le giornate erano fatte così, tra emergenze improvvise e qualche “invenzione” per risolvere il problema. Si dormiva poco, quattro-cinque ore per notte, ma non si era mai stanchi, l’energia sembrava infinita. Succedeva, e succede, quando il lavoro che fai ti regala un senso preciso, una sua esatta ragione. A pensarci oggi, con il fatidico senno di poi, l’esperienza a Teora mi ha insegnato a non temere inciampi e imprevisti, perché se agisci con la fiducia di farcela una soluzione la trovi sempre. Per dire: scassata la jeep dei lombardi, ne chiesi una ai tedeschi, che non fecero una piega. Se vi chiedete come mai i militari della Bundeswehr prestassero i loro spettacolari veicoli a un ragazzino come me: facile. In cambio – al campo era tutto un baratto – gli ufficiali tedeschi mangiavano alla nostra mensa, a quanto pare la migliore di tutta Teora. Ricordo bene il Caporale Hochhäuser, un gigante di un paio di metri per almeno 120 chili. Nomen omen, visto che Hochhäuser potrebbe tradursi con “case alte” o anche “grattacieli”. Un uomo generoso e buono, che ringrazio di cuore.

Talvolta prendevo a prestito anche i mezzi dell’Esercito Italiano, tirandomi dietro un gruppo di Alpini bergamaschi freschi di leva, in numero variabile da sei a dodici, una o due jeep per volta. Ora, se vi chiedete come sia possibile che un obiettore di coscienza comandasse una squadra di militari, beh, non lo so nemmeno io, immagino si tratti di un caso più unico che raro nella storia dell’Esercito Italiano. E infatti lo chiesi al Capitano che se l’era pensata: «Ma si rende conto che sono un obiettore?». Risposta serafica del graduato, che saluto con affetto ovunque egli sia: «Non vedo il problema, parlate la stessa lingua. E poi lei ha attitudine al comando». Ora, sul dialetto bergamasco niente da dire, sull’attitudine chi lo sa. Col fatto poi che conoscevo il bergamasco, e iniziavo a capire il dialetto locale – silenzi inclusi –, oltre a spiccicare qualche parola di tedesco, ero stato promosso a interprete, e mi toccava vagare per tre lingue così diverse per sintassi e cultura. Lost in translation. Ancor più curiosa un’altra situazione: vedendo un civile al comando di una loro squadra, gli Alpini bergamaschi si erano pensati che fossi chissà chi. In effetti ero riuscito a rimediare dei grandi teli impermeabili per isolare le loro tende, perennemente nel fango. Per via di questo precedente, venivano a chiedermi di tutto: indumenti per rafforzare le divise leggere – da indossare sotto e ben nascosti, ché il regolamento figuriamoci se lo consentiva; qualche integrazione al rancio – invero approssimativo e minimale; raccomandazioni presso il summenzionato Capitano – per malanni assortiti e magari fantasiosi. In quest’ultimo caso, da buon valetudinario mi limitavo a qualche vaga indicazione di medicinale. In breve, divenni “il dottore”, venivo fermato da questo e da quello per consigli e prescrizioni. E più li invitavo ad andare dal medico vero, più chiedevano a me. Potenza della suggestione.


Casolari, la ventesima puntata.

Tutte le puntate del mio Ritorno in Irpinia.

4 Commenti

  • Rosario Coppola Posted 27 Gennaio 2023 05:17

    Che bella penna complimenti

    • Claudio Calzana Posted 27 Gennaio 2023 08:35

      La ringrazio di cuore, Rosario.

  • Stefano Posted 27 Gennaio 2023 02:21

    Evidentemente riuscivi a comunicare bene, eri portato.

    • Claudio Calzana Posted 27 Gennaio 2023 08:37

      Chi lo sa, Stefano. Fatto sta che tra le tante cose che l’Irpinia mi ha insegnato ci sta anche la rivalutazione dell’Esercito, di alcuni militari in particolare, a prescindere dal grado. Detto da un obiettore, vale doppio…

Aggiungi Commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *