
[16] Il lungo viale alberato che porta al cimitero di Teora è intitolato ad Alessandro Gasparetto, un volontario di Santandrà, frazione di Povegliano, paese in provincia di Treviso. Alessandro perse la vita proprio a Teora la mattina del primo gennaio 1981. La sera prima tutti avevamo brindato allo scoccar dell’anno, in molti avevano tirato tardi. Quel mattino, dunque, in giro c’era meno frenesia del solito. In qualità di elettricista, Alessandro era impegnato nei pressi della cabina elettrica che serviva l’intero paese, a qualche decina di metri dal nostro campo. Ricordo uno schianto secco, e poi un clamore di voci. Corsi nei pressi, un gruppo di soccorritori faceva cortina. A quanto pare, Alessandro stava trascinando un grosso cavo, camminava all’indietro per agganciarlo alla cabina. Con i piedi nel fango, a pochi passi dalla meta venne investito da una scossa tremenda, mi parlarono di 20mila volt. Il volontario venne scagliato lontano, il corpo in gran parte annerito. Vicino a me venne aperta un’ambulanza alla ricerca di un qualche dispositivo di primo soccorso: c’erano solo panettoni e barattoli di pelati, ricordo le imprecazioni di chi ci era salito. Nel mentre, qualcuno praticava il massaggio cardiaco, altri scuoteva la testa, rassegnato. Alessandro ormai rantolava, il corpo percorso da sussulti improvvisi. D’un tratto, il rumore di un elicottero. Il mezzo atterrò qualche decina di metri più in alto rispetto al luogo della tragedia. Con il giovane adagiato in barella, venne il momento più triste e peggiore. Per via della salita e del fango, i portantini persero l’equilibrio, e quel povero corpo precipitò fin quasi al punto di partenza. Giù a raccoglierlo in fretta, di nuovo a salire. Lo persero ancora, fu uno strazio vedere quel giovane uomo sconciato dalle ustioni e dal fango. Cadde due volte, Alessandro, a imitazione del Cristo, che nella Via Crucis cade tre volte, alla terza, settima e nona stazione. Le grida dei portantini, stremati, sovrastavano il motore dell’elicottero. Finalmente il velivolo accolse quel corpo, lasciando il piazzale. Probabilmente Alessandro era già morto, aveva soltanto 34 anni. Con un gesto encomiabile, nel 1999 l’Amministrazione del suo comune, Santandrà, gli ha dedicato un edificio adibito ad attività civiche e di aggregazione.

(da Wikipedia).
La sera prima avevamo brindato a un 1981 diverso. Si toccava con mano un briciolo di speranza, sui volti un qualche sorriso, l’idea che si potesse finalmente voltare pagina: dopo lo strazio del terremoto non poteva certo andar peggio. Luisa Morgantini, delegata FLM, quella notte a Teora la ricorda così: «A Capodanno abbiamo tentato di organizzare un’altra cosa, non una festa per carità, ma stare dentro una baracca, stare tutti assieme, avere un po’ di panettoni, di vino…» (In Pierluigi Sullo, La casa di Rocco, Edizioni Lavoro 1981). La mattina seguente, anzi poche ore soltanto, ecco la fatalità che ti riporta indietro di botto. Il brindisi non era stato allegro, certo che no, però c’era quella voglia di stare insieme che scalda il cuore: militari e civili, volontari di ogni parte d’Italia, teoresi ed emigrati tornati in paese, tutti recavano in dote una gran voglia di stare vicini, nel segno di quella solidarietà disinteressata che profuma di speranza. Me lo hanno raccontato in diversi durante il mio viaggio di ritorno: le settimane dopo il sisma furono tremende, certo, ma al tempo stesso irripetibili per l’armonia tra coloro che avevano condiviso la sciagura. In quei giorni, se una scossa di assestamento ti sorprendeva per via, entravi nella prima tenda o casetta e lì eri ospite in tutto, senza nemmeno dover domandare permesso. Lo stesso accadeva per le minime urgenze, ma anche per quelle maggiori: bastava chiedere e qualcuno si faceva avanti, senza bisogno di conteggi o restituzioni. Tutti davano, tutti ricevevano. Cosa mai più capitata dopo, quando le sfibranti attese per avere una casa dilaniavano gli animi, per tacere dei contributi che premiavano pochi e ignoravano molti. Bisogna pur dirlo, e senza paura: molti abitanti d’Irpinia rimpiangono i giorni seguiti alla scossa perché – al netto del volgare egoismo di alcuni – l’umanità aveva saputo farsi più bella e migliore. «Allora vivevamo insieme. Oggi siamo tutti estranei», mi ha confidato un signore incrociato al bar. Sette parole soltanto: non una di più, non una di meno.
Cimiteri, la diciassettesima punttaa.
Tutte le puntate del mio Ritorno in Irpinia.
1 Commento
Grazie per questo ricordo, triste e necessario. E grazie ad Alessandro Gasparetto, che ha sacrificato la vita in nome di un ideale superiore.
Aggiungi Commento