
Fotografia di Luigi Villani tratta da Gabriele Tardio, Sisma 1980, presenza dei sammarchesi a Teora e in Irpinia.
[6] Va ricordato che a quel tempo la Protezione Civile era di là da venire, la futura struttura di coordinamento vedrà la luce ufficialmente soltanto nel 1992. Il giorno dopo il sisma, il 24 novembre, l’onorevole Giuseppe Zamberletti venne nominato commissario straordinario da Pertini. Fu scelto perché aveva ricoperto il medesimo incarico in occasione del terremoto in Friuli del 1976, terremoto che, nonostante l’epicentro fosse a quasi 400 km da Bergamo, mi fece letteralmente cadere dal letto. A Napoli Zamberletti fissò la sede del Coc, il Centro Operativo Commissariale, distante dal cuore del sisma. Nei paesi colpiti, tutta la responsabilità del primo soccorso venne a gravare sul sindaco, affiancato da un ufficiale dell’esercito. Immaginate la situazione di quelle prime ore: oltre alla distruzione, ai morti, ai dispersi che chiedevano aiuto da sotto le macerie, le linee telefoniche ed elettriche saltate, parecchie strade erano impraticabili, non pochi ponti caduti. Senza dimenticare che molti sindaci persero persone care, o furono coinvolti in termini personali oltre ogni immaginazione: Pasquale Chirico, attuale sindaco di Teora, ricorda che per i successivi tre anni di fatto suo padre Ettore visse in municipio, facile che al tempo lo vedessi di più io. A ciascuna regione d’Italia venne assegnata una porzione del territorio colpito, secondo la modalità del gemellaggio. All’Alto Adige toccò la zona di Teora. La tarda mattinata del mio arrivo – cappello in testa, mocassini ai piedi, borsone a tracolla – insieme ai miei due compagni di viaggio arrivai al campo occupato in prevalenza dagli altoatesini. Oltre alle tende, vidi anche qualche roulotte, un vero e proprio lusso, come avrei avuto modo di sperimentare in seguito: con la stufa a parabola, sempre rigorosamente al minimo e solo di notte, le condizioni erano quasi accettabili; i militari di leva stavano in tenda, e con la divisa leggera, perché erano partiti in fretta e furia, con le armi d’ordinanza e senza strumenti di lavoro. Il confronto con i militari della Bundeswehr, l’esercito tedesco, era a dir poco impietoso.

Al campo di Teora conobbi Paolo Endrizzi, ventiquattrenne volontario del Comune di Merano. A lui ho chiesto un ricordo di quei giorni: «Da poco la terra si è fatta sentire, illuminata da un sole incerto. Neve e fango invadono il campo. Freddo. Da qualche settimana come volontario del Comune di Merano sono al campo preparato dalla Croce Rossa di Bolzano. Al mio arrivo sono stato accolto da due amiche infermiere, Carmen e Norma. Mi vedono con gioia, sperano che possa continuare il loro lavoro. Ho iniziato così. Girando per le tende allestite attorno ai casolari. Legna, bombole di gas, coperte, cibo. Il lavoro è tanto, nulla se messo a confronto con la paura residua, la disperazione, le attese dei terremotati. Giro tutto il giorno da mattina a sera. Carico e scarico l’auto datami in dotazione dall’esercito germanico. Si dice che bisogna fare di più. Vero, certo, ma credo che soprattutto serva stare ad ascoltare in silenzio. In quei momenti di fronte a due anziani che hanno perso tutto dopo anni di lavoro, che dire, nulla. Catartica è la narrazione, si raccontano. A un certo punto mi accorgo che serve di più, qualche altra presenza. Il comune di Merano mi avvisa che arriverà un certo Claudio da Bergamo. Bene. Attendo». Ed ecco la sua prima immagine del sottoscritto, non proprio lusinghiera, anzi: «Un mezzogiorno strano, la luce del sole come non mai obliqua, mi avvisano che sta arrivando questo Claudio. Esco dalla tenda mensa e lo vedo. Scarpe basse, da città. Cappotto da passeggio. Cappello. Rimango stupito, allibito. Se la prima impressione è quella che conta beh, meglio che se ne torni a Merano. È vero che l’abito non fa il monaco, però pensando a tutto quello che c’è da fare qui di un dandy così che me ne faccio?». Una prima impressione deleteria, una bocciatura senza appello; e Paolo ancora non sapeva che in borsa tenevo Minima moralia di Adorno, per dire l’incoscienza, pensavo di trovare tempo per studiare. Insomma, c’erano tutte le premesse di un incontro conflittuale e disastroso… E infatti da quel giorno Paolo ed io siamo grandi amici, ci sentiamo e vediamo con regolarità. Questo viaggio di ritorno in Irpinia l’abbiamo fatto insieme.
La settima puntata.
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1 Commento
ciao,sono di teora o dormito sulla tente,il sindaco era il mio amico ettorino,adesso e il figlio pasquale, un abbracio a teora
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