
[2] Arrivai in Irpinia a inizio dicembre 1980 sotto l’egida del comune di Merano. L’assessore Vittorio Cavini – lo ricordo con enorme affetto – aveva scelto me per rimpinguare la pattuglia altoatesina. Il servizio civile avrei dovuto farlo proprio per quel comune, dunque sembrava adatto un assaggio in quell’altrove. Partimmo in tre da Merano, il più vecchio ero io con i miei 22 anni. Ricordo l’attesa in stazione, i primi dubbi: «Ma che ci vado a fare che con le mani non so combinare niente?», Ricordo un militare apostrofarci malamente perché avevamo osato varcare la sala d’attesa di prima classe, il freddo era pungente. Con enfasi retorica risposi che eravamo in partenza per aiutare i nostri fratelli del Sud, colpiti da quell’immensa sciagura. Una roba da vero bastardo, lo ammetto. Siccome era del Sud pure lui, commosso ci offrì subito un cordiale, scortandoci poi al treno manco fossimo delle autorità. Grazie a questa gherminella – di cui non vado certo fiero – venni eletto seduta stante capo del terzetto.
Durante la notte in treno ebbi modo di conoscere i miei compari; in particolare Paolo “Toldo” Quaresima, allora preso dal rovello se seguire le orme paterne nell’ingrosso di frutta di famiglia, oppure darsi all’arte come pittore, scelta che sentiva sua e prossima davvero. Per quel che poteva valere il mio consiglio, spinsi per l’arte, erano tempi che l’ideale la vinceva sempre, non c’era manco partita. Oggi Paolo è un artista affermato, i suoi quadri sono una lezione di poesia che al tempo stesso sorprende e acquieta. Non è merito mio, ci mancherebbe, la vocazione quella vera basta e avanza ad aprir la strada. Più complicato il dialogo con l’altro sodale, di lingua tedesca, e dunque meno propenso a condividere scelte ed emozioni; ma tipo pratico e spiccio, di quelli che in situazioni d’emergenza guadagnano punti per efficienza e prestazioni. Fatto sta che arriviamo a Salerno in una mattinata grigia, un mezzo avrebbe dovuto condurci a Teora, cittadina dell’avellinese tra le più colpite dal sisma. Per un tempo che oggi non so quantificare siamo rimasti nel piazzale della stazione, vagolando tra ogni sorta di mezzo, chiedendo informazioni e supplicando passaggi; non sapevamo a chi rivolgerci di preciso, tutti sembravano avere uno scopo ma figurati se si capiva quale. Nel caos che potete immaginare; a un certo punto l’autista di una specie di furgone ci dice che sta per salire da quelle parti. Salire: mai verbo si rivelò più esatto.
La terza puntata.
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3 Commenti
Anche in questa puntata, come nella precedente, lei non ha paura di essere sincero fino alla brutalità. Questo rende il suo racconto se possibile più bello e prezioso.
E così vorrei procedere, caro Riccardo. La distanza d’anni è tale che consente, anzi sollecita, la verità dei fatti e delle cose.
Che quadro splendido, meno male che ha scelto di fare il pittore!
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