In ricordo di Luciano Parinetto

Fanno vent’anni oggi dalla scomparsa di Luciano Parinetto. Magari ai più questo nome non dirà molto: eppure insegnò Filosofia Morale alla Statale di Milano, dove in effetti venne osteggiato da alcuni colleghi – ma non certo da Mario Dal Pra, ai tempi il professore più autorevole – per alcune sue posizioni poco ortodosse, in particolare a proposito di Marx. Molteplici i suoi studi, interessi e traduzioni: Eraclito, Feuerbach, Silesius, Giordano Bruno, Emily Dickinson, Lessing, Eckhart e Cusano, senza dimenticare le filosofie orientali, visto che fu tra i primi a tradurre il Taotêching di Lao Tze. Nato a Brescia nel ’34, Parinetto fu anche critico musicale di squisita finezza, le sue letture dell’opera di Verdi sono rimaste a giusto titolo famose.

Il mio non vuol essere un excursus filosofico, men che meno intendo ripercorrere la produzione di Parinetto; il mio ricordo è semplice, e magari bello: ai tempi frequentai l’università giusto due tre mesi, poi sotto col lavoro per mantenermi agli studi. Ecco, capitato a Milano per la prima volta, sperduto come solo una matricola, finii come per caso proprio nell’aula dove Parinetto stava facendo lezione. Parlava di Nietzsche, di Marx in termini di Corpo e rivoluzione, suo libro piuttosto noto e scandaloso, fors’anche di sabba e streghe, altro suo grande campo di indagine e riflessione. Fatto sta che diedi il mio primo esame proprio con lui; al termine, a voto sul libretto, tirai fuori un regalo: un burattino che avevo realizzato durante un corso con un grande artista, Mariano Dolci. Erano anni strani, ricordiamolo, ne succedevano di ogni, ma quel dono lo lasciò di stucco, non finiva più di farlo volteggiare con la mano di fronte a studenti assai straniti. Ridendo, lo chiamava “il personaggio” .

Tempo dopo, dovendo decidere la tesi, mi sembrò giusto tornare da lui con un’idea. In un primo momento la mia ricerca venne presa in carico da Livio Sichirollo, che poi preferì indicare proprio Parinetto quale relatore, ritagliandosi il ruolo di correlatore. Il cerchio in questo modo si chiudeva, a rigorosa simmetria. Sulla tesi, ricordo, fu parecchio esigente, non me ne faceva passare una. Di due mie citazioni, ad esempio, una di Hegel e l’altra di Heidegger, proprio non ne voleva sapere. Il risultato fu un salomonico pareggio: Hegel rimase, Heidegger no. Non a caso, Parinetto scrisse Gettare Heidegger, libro uscito postumo nel 2002.

A volte andavo a discutere i capitoli a casa sua, in corso Como mi par di ricordare, una mansarda sottotetto che in estate diventava un forno e d’inverno spifferava ovunque. Luciano mi restituiva il dattiloscritto corretto di suo pugno e con pazienza presentava le obiezioni. È così che si impara a far ricerca, sapete, quando qualcuno vi dedica tutta l’attenzione, senza certo badare a orari e tariffe. Il burattino c’era ancora, ormai di casa tra tutti quei libri e tomi.


Un mio ricordo di Giulio Giorello.

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