L’Utopia di Firpo e il Cavaliere

Giusto una settimanella fa ripubblicavo sui social un mio articolo di 8 anni or sono, con il quale raccontavo un fatto poco noto, con protagonisti Leopardi, inteso come il sommo poeta, e Berlusconi, inteso come proprio lui. Se volete togliervi lo sfizio, ecco il pezzo. Bene, l’elogio che facevo del Cavaliere – che al tempo aveva finanziato la traduzione in inglese dello Zibaldone – mi è costato non poche reprimende. Un amico bresciano, dotto e severo, mi ha fulminato con queste parole: «Certo, si sa, “Mussolini ha fatto anche cose buone” e in generale gli italiani sono sempre stati “brava gente”, persino in Libia o nel Corno d’Africa. A volte l’entusiasmo per un’impresa culturale offusca chi ne sia il promotore: nella frase, il predicato nasconde e dissimula il proprio soggetto. Per postilla alla tua considerazione pubblica del 2013, che per caso ho letto soltanto ieri, dovresti aggiungere questa che ti allego, una tra le tante che si potrebbero convocare a commento del soggetto in questione. De hoc iam non disputo»E allora, bando alle ciance, veniamo al punto, ovvero a quel che opportunamente l’amico mi manda, un articolo di Repubblica del marzo 2006 a firma di Marco Travaglio da cui ho tratto informazioni e virgolettati.

Luigi Firpo (1915 – 1989)

Al tempo, il Cavaliere aveva pubblicato in pompa magna un’edizione pregiata dell’Utopia di Tommaso Moro, con una bellissima prefazione e una perfetta traduzione dal latino. Tutta roba mia, spergiurava, o perlomeno così lasciava intendere. Ma non aveva fatto i conti con Luigi Firpo, grande intellettuale torinese dalla schiena dritta, alla Bobbio per capirci, docente universitario di Storia delle Dottrine Politiche e fra i massimi esperti di cultura rinascimentale. Bene, facciamola corta: l’opera spacciata da Berlusconi altro non era che un copia e incolla dell’allora recentissima edizione curata dal Firpo medesimo, che si era procurato non senza fatica copia dell’edizione incriminata, edita in tiratura limitata. La faccenda venne raccontata a Travaglio dalla vedova dello studioso. «Firpo (lei lo chiama rispettosamente così, ndr […] prese carta e penna e scrisse a Berlusconi, intimando di ritirare subito tutte le copie e annunciando che avrebbe sporto denuncia. Qualche giorno dopo squillò il telefono di casa: era Berlusconi» che, con scuse puerili e blandizie da piazzista, cercava di placare l’ira del Professore; il quale, «sbollita la furia, si diverte a giocare al gatto col topo. Firpo minaccia di mettere in piazza tutto e trascinarlo in tribunale. Berlusconi – ricorda la moglie – incolpò subito una collaboratrice, che a suo dire avrebbe copiato prefazione e traduzione a sua insaputa. E implorò Firpo di soprassedere, pur precisando di non poter ritirare le mille copie già stampate e regalate ad amici e collaboratori. Firpo, capito il personaggio, cominciò a divertirsi alle sue spalle. Lo teneva sulla corda con la causa giudiziaria. E Berlusconi continuava a telefonare un giorno sì e un giorno no, con una fifa nera. Pregava di risparmiarlo, piagnucolava che uno scandalo l’avrebbe rovinato».

E non è finita: il Cavaliere «cercò di rabbonirlo con regali costosi, che il professore rispedì sdegnosamente al mittente». «Passava – ricorda la moglie Laura – intere mezz’ore al telefono col Cavaliere. E alla fine correva a raccontarmele, fra l’indignato e il divertito: sapessi quante barzellette conosce quel Berlusconi. È un mercante di tappeti, una faccia di bronzo da non credere, sembra di essere in una televendita”. Il tira e molla si trascinò per mesi. […] Nel frattempo Berlusconi aveva pubblicato un’edizione riveduta e corretta dell’Utopia, senza più la prefazione copiata e con la traduzione di Firpo regolarmente citata. Ma Firpo seguitava a fare l’offeso, ripeteva che la cosa era grave e la stava ancora valutando con gli avvocati. Un giorno lo invitarono a Canale 5 per parlare del Papa e si ritrovò Berlusconi dietro le quinte che gli porgeva una busta con del denaro, “per il suo disturbo e l’onore che ci fa”. Naturalmente la rifiutò».

Sempre la moglie ricorda che a Natale «arrivò un corriere da Segrate con un bouquet di orchidee che non entrava neppure dalla porta e un pacco: dentro c’ era una valigetta ventiquattr’ore in coccodrillo con le cifre LF in oro». Il biglietto d’ accompagnamento è intestato Silvio Berlusconi, datato “Natale 1986” (ma l’ultima cifra è uno scarabocchio) e scritto a penna: “Molti cordiali auguri ed a presto~ Spero! Silvio Berlusconi”. Poi una frase aggiunta a biro: “Per carità non mi rovini!!!”. Ma Firpo continuò il suo gioco: «Rispedì la borsa a Berlusconi, con un biglietto beffardo: “Gentile dottore, la ringrazio della sua generosità, ma gli oggetti di lusso non mi si confanno: sono un vecchio professore abituato a girare con una borsa sdrucita a cui sono molto affezionato. Quanto ai fiori, la prego anche a nome di mia moglie Laura di non inviarcene più: per noi, i fiori tagliati sono organi sessuali recisi” Non lo sentimmo mai più”».

Eccoci al sugo della vicenda: il Cavaliere che finanzia la traduzione dello Zibaldone è la stessa persona che implora Firpo di non sputtanarlo pubblicamente, che lo blandisce, che cerca di comprarlo con lo stesso metodo che ha poi messo in campo con fanciulle e deputati, sostengono i maligni, e pure certi magistrati, per tacer di atti processuali e della pesante sentenza passata in giudicato. Aveva ragione Firpo: il Cavaliere è un venditore di tappeti, il migliore su piazza, ancora in sella dopo tanti anni. Non a caso è ancora, e per tutti, è il Cavaliere. Non a caso per alcuni, sempre meno in verità, sarebbe ancora degno di Utopia.

Aggiungi Commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *