Il curriculum da Vinci

Leonardo non stava mai fermo, pare che si fosse abituato a dormire quindici minuti ogni tre ore per non perdere il ritmo frenetico della sua produzione. E allora perché non celebrarlo oggi, Festa dei Lavoratori? Tra l’altro proprio domani cade l’anniversario della sua morte, avvenuta in Francia il 2 maggio del 1519. Ma se vogliamo parlare di Leonardo come si deve, cioè senza dover inseguire le sue mille invenzioni e meraviglie, val la pena di concentrarsi sulla lettera di presentazione che nel 1482 l’illustre toscano invia a Ludovico il Moro. Non è di suo pugno, ma è universalmente accreditata come autentica. Leonardo ha ormai trent’anni, sa che è giunto il momento di mettersi in proprio, lasciandosi alle spalle la bottega del Verrocchio. Si rivolge all’ambizioso duca milanese con la consapevolezza che il suo interlocutore non ha tempo da perdere e ambizioni molto precise. Per questo il curriculum si articola in 10 punti, ben 9 dei quali riservati a questioni belliche: ponti, bombarde e mortai, navi, «carri coperti, securi e inoffensibili», strumenti di offesa e difesa, argini e scavi.

In tempo di pace

Solo al punto 10 arriva un accenno al fatto che, in tempo di pace, l’instancabile toscano può occuparsi d’altro: architettura, edifici pubblici e privati, «conducer acqua da uno loco a un altro». A seguire, un vago accenno a scultura e pittura, ambiti nei quali il nostro era già noto, e una strepitosa captatio benevolentiae finale:«Ancora si poterà dare opera al cavallo di bronzo, che sarà gloria immortale e eterno onore de la felice memoria del Signor vostro patre et de la inclita Casa Sforzesca». Sarà stato anche un «omo sanza lettere», ma a retorica Leonardo ci sapeva fare, eccome. Passaggi scanditi per punti, chiarezza e concretezza fin dalle prime righe, la promessa di condividere con lo Sforza i suoi segreti, la certezza di non essere uno dei tanti ciarlatani che si limitano a scopiazzare soluzioni poco efficaci; certezza ribadita con orgoglio al termine del testo: mettetemi alla prova, non resterete certo deluso.E così fu: Leonardo rimase a Milano per quasi vent’anni.

E oggi?

Sostituendo i termini bellici con qualche voce di marketing, che succederebbe se oggi un imprenditore del livello dello Sforza ricevesse un curriculum di questo tenore? Prima considerazione: l’imprenditore rischierebbe di non vedere la lettera manco per sbaglio. Il motivo? Semplice, queste richieste oggi si incagliano in una qualche casella di posta laterale piuttosto che sulla scrivania del responsabile delle risorse umane. Il quale, di fronte a un Cv del genere, potrebbe avere reazioni inconsulte del tipo: «Ma questo chi si crede di essere? Uno che sa fare tutte queste cose non esiste, e quand’anche: il testo non è in formato europeo, niente lingue straniere e computer, nessuna esperienza pregressa, zero scuole, licei università, master. Oltretutto è un artista, ci manca anche una statua del capo a cavallo». E giù un bel sorriso all’idea dell’AD in sella. «Ma mettiamo che sia davvero un genio: a quel punto fa tutto lui e noi cosa ci stiamo a fare? Ci manda tutti a spasso, minimo». Insomma, perché la lettera giunga sul tavolo giusto devono verificarsi coincidenze astrali pressoché uniche: il dirigente in questione è parecchio curioso e ama offrire occasioni ai giovani; oppure è a un passo dalla pensione, così scarica il siluro a quelli che si troveranno il novello Leonardo tra le scatole. Non per cattiveria, no, ma per vedere di nascosto l’effetto che va, come cantava Jannacci.

Il colloquio

Immaginiamo che le congiunzioni astrali si siano magicamente verificate, il trentenne è seduto di fronte all’imprenditore; il quale si è reso disponibile più che altro per curiosità: un soggetto così sfrontato può essere un buon aneddoto per la prossima riunione in Confindustria. Scorre il curriculum senza guardare negli occhi il candidato, che senza por tempo in mezzo prende l’iniziativa. «Mi piacerebbe darle prova di quel che so fare. Vede, io non limito a ripetere quel che sta scritto nei libri: io non scopro, io invento. Come ben saprà, non sono la stessa cosa». «In che senso?», s’inquieta l’interlocutore, spiazzato dall’esordio in tromba. «L’America esisteva tranquillamente prima di essere scoperta, Internet no». «Ah ecco, giusto». «Senza dimenticare – riprende imperterrito il candidato – l’altra caratteristica decisiva di una invenzione». «Ovvero?», sussurra l’imprenditore, già piuttosto a disagio. «L’utilità, ovvio: che senso ha scoprire qualcosa che non serve a niente? Non porta fatturato, per esser chiari». «Beh, certo. Piuttosto – fa l’industriale per riprendere in mano il pallino – vedo che lei è anche artista». «Sì, ma non lo faccio per danaro. L’arte mi completa, ecco. Già nel Genesi, lei mi insegna, si ha il punto di incontro tra l’invenzione pratica e la creazione artistica.  La Parola divina dà luogo al mondo e alle stelle, agli uomini e agli animali. L’invenzione è suprema creazione; la Parola, il divino flatus vocis, è comune origine di ogni cosa e persona. Da qui il rispetto profondo che si deve al creato, dalla semplice pietra all’essere più evoluto».

Silenzio

L’imprenditore si è perso nel flatus, il candidato pare assorto. Ma non per molto: «Sa perché Leonardo da Vinci era un genio?». «No, cioè sì», balbetta l’industriale, «inventava un sacco di cose e quindi…». Un sospiro, il candidato si impietosisce e vira al didattico: «Il metodo di Leonardo consisteva nel fecondare una disciplina con l’altra fino a generare qualcosa di unico e nuovo. Alla fin fine era un curioso, un dilettante, se vuole, ma dilettante di tutto lo scibile umano. Sa cosa le dico?». «Cosa?», supplica l’imprenditore, ormai allo stremo. «Leonardo era un genio perché non era specialista di alcuna disciplina. Aveva mille talenti e si divertiva a farli incontrare. La perfezione non lo appassionava, la ricerca sì. Diciamola tutta: per sua fortuna, Leonardo era un dilettante». Ancora silenzio. Ripresa: «Bach, per dire, insegnava l’indipendenza delle mani componendo sonate con linee melodiche diverse, una per la destra, l’altra per la sinistra. Non a caso le chiamava invenzioni». «Mia figlia studia pianoforte», arranca l’imprenditore. «Bene, vedrà che le confermerà la cosa. A proposito: per caso ha un figlio che pratica uno sport?». «Come, scusi?». «Glielo chiedo perché magari conosce la storia di Fosbury. Era un atleta mediocre, diciamolo, ma nel ‘68 vinse l’oro alle Olimpiadi saltando all’indietro. Inventò un nuovo stile mettendo a frutto il suo talento di ingegnere. Atleta più ingegnere uguale medaglia d’oro. Vede, un’invenzione nasce quando si affronta un problema secondo una modalità controevidente». «Controe…», farfuglia l’imprenditore. «Sì, inaspettata, sorprendente. Potrei dire poetica, se il termine non la disturba».

La scelta

Secondo voi, un candidato di tale spessore verrà scelto con entusiasmo o si vedrà rispondere con il più classico dei «Le faremo sapere»? Risposta facile numero uno: l’assunzione – verbo ormai quasi espunto dai dizionari – potrebbe scattare solo se dall’altra parte della scrivania sedessero un Pietro Barilla o un Adriano Olivetti, forse un Marchionne. Risposta facile numero due: un colloquio di questo genere ai tempi nostri non potrebbe avvenire. Per le congiunzioni astrali sopra ricordate, certo, ma soprattutto perché certamente oggi Leonardo – convinto com’era che «Se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo» –  metterebbe in piedi una start up, magari grazie a un contributo europeo; o andrebbe in cerca di una finanziaria disposta a investire denaro su idee innovative senza pretendere rientri a breve termine. Sì, oggi il da Vinci rischierebbe l’avventura piuttosto che mettersi al soldo di capitani poco coraggiosi. Quelli che, fidando su specialisti ed esperti di questa o quella trafila, si perdono geni e talenti per strada.

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A proposito del rapporto tra invenzione/scoperta e tra immaginazione/fantasia

1 Commento

  • Gino Posted 1 Maggio 2021 15:57

    Adesso mi vien voglia di leggere il Cv di Leonardo……

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