Il sorriso del conte, Giovanni e gli elleni

Fotografia di Luigi Ghirri

Accade che a distanza di ben dieci anni il mio primo libro, Il sorriso del conte, faccia distillare a Giovanni una recensione che a ben vedere recensione non è: nel senso che del libro poco o nulla dice, ma di tutto quel che sta intorno sì, eccome. Già, son proprio queste variazioni magari un po’ enigmatiche (alla Elgar, s’intende) che mi conquistano quando si parla di libri. Che senso ha contar su alla spicciola quel che combinano personaggi e comprimari? No, andiamo oltre, mettiamoci in gioco: ecco, è proprio quello che fa Giovanni, che ringrazio e abbraccio di cuore.

“Leggete Il sorriso del conte, di Claudio Calzana, L’autore, un elleno, scrive in uno stile non sgradevole ….”. Possiamo rubare, storpiandolo alquanto, un incipit, dalla Biblioteca di Fozio, per raccontare di questo libro? Già, perché, la cosa strana che succede, quando si vuole parlare del Sorriso del Conte, è che si finisce invece invariabilmente a parlare di sé stessi e di ciò che ti piace. “L’autore, quindi, dicevamo è un elleno”: e qui uso questo termine anziché dire un pagano, perché mi sembra più aggraziato (termine questo che viene da Artusi, aggraziatelo con un po’ di ….). E dico che l’autore è un elleno, cioè non un seguace della religione prevalente, perché lo sguardo che rivolge al passato, dice senza ombra di dubbio che in quel passato vi è del buono, che vale la pena di non dimenticare. Proprio come gli elleni, cioè i seguaci degli antichi Dei, quando il mondo antico volse al tramonto. Non mi sembra che nel libro si parli mai di religione, anche se uno dei protagonisti è un prete. Se dico che l’autore non è un seguace della religione prevalente, non sto riferendomi a questa o quella fede. Intendo dire che non mi sembra una persona che abbia nel presente una fiducia così assoluta da non chiedersi se per caso altrove non vi sia qualcosa che valga la pena di raccontare. Non vi è ombra di dubbio che il Calz qualcosa da raccontare ritenga di averlo trovato, guardandosi indietro. E anche questo lo pone, nella nostra immaginaria biblioteca di Fozio, in buona compagnia. Vicino ai tanti che, in così diverse forme, del passato avevano scritto, e che Fozio recensì.

Conosco il Calz da quasi quarant’anni al momento in cui scrivo, Forse il Calz nemmeno lo sa, ma ho persino assistito al suo esame di maturità. Non che me ne ricordi gran chè, io ero davvero piccolo allora. E non sapevo che il Calz avesse scritto dei libri. L’ho cercato per parlare di tutt’altro, ed ecco che mi salta fuori un romanziere.
È un problema, leggere un libro di qualcuno che conosci. E se poi non ti piace? Cosa gli racconti? E per giunta il Calz cadeva male. Già, cadeva in uno di quei momenti nei quali non mi riusciva di leggere quasi nulla. Aveva fallito persino uno dei miei mostri sacri, quell’Ammiano Marcellino (un elleno!) che, avrei giurato, fosse anche lui nella biblioteca di Fozio (forse c’è, e non l’ho trovato io). Per finire, cade sul Sorriso del Conte la mannaia di un giudizio perentorio della mia anziana madre, anch’ella conoscente del Calz: “È orrendo”, aveva detto, con la parlata senza mezze misure degli anziani, riferendosi al libro, che, preso in biblioteca, le avevo proposto. Quindi, Il sorriso del conte ce le aveva contro tutte. Leggo il primo capitolo qui a casa, non mi impressiona, mi perdo un po’ nella lunga lista dei personaggi, insomma, abbastanza distratto, lo metto da parte.

Parto a fine giugno per tre giorni di vacanza a Lignano con mio figlio ed un suo amichetto, e mi porto dietro Il sorriso del conte. E lì inizia il mio, di viaggio all’indietro. Perché a Lignano ci ero andato a 26 anni, e ora ne ho 52. E perché a Lignano, come dico scherzando al personale del campeggio, c’è da chiedersi se non sia passata la Santa Inquisizione. Che fine ha fatto la spiaggia più libera dell’Alto Adriatico? File di ombrelloni, famigliole, costumi castigatissimi, non più un angolo di spiaggia libera. E, sotto sotto, Il dubbio insinuante che, in realtà, a cambiare, fossi stato io, non la spiaggia di Lignano … Sei vecchio ormai …. Insomma, ce n’era a sufficienza perché la vacanzina andasse a finire davvero male, libro o non libro.

Mogio mogio mogio, da solo (i bimbi sono alla piscina), all’ombrellone assegnatomi dal campeggio, che manco riesco ad aprire (non c’è anima vicino a me), in ultima fila, la più lontana dal mare, come un ripetente a scuola, mi costruisco un mucchietto di sabbia per sedermici sopra (la schiena ….. mica ho più 26 anni) e … riprendo a leggere Il sorriso del conte di Claudio Calzana.

Di una cosa ho un ricordo preciso, ed è del cielo. Quello sì non mi aveva tradito. Ritrovavo lo stesso tono di blu cupo, quasi minaccioso, così tipico del Nord-Est, che sembrava perdersi, estendersi, all’infinito, oltre la linea della Bainsizza, nettamente delimitata, a destra, dalla tagliata di Naso di Monte Re (servizio militare, roba che non serve a nulla ….).

Con l’unica compagnia del blu di quel cielo, riprendo quindi a leggere. E in due pomeriggi arrivo alla fine. E qualche volta (non molte, ma diamine, sempre qualche volta) mi ritrovo anche a farmi delle gran risate (tanto vicino a me, vedi sopra, non c’era un’anima). Finisco gli ultimi capitoli troppo in fretta, perché voglio finire a tutti i costi, forse un po’ me li rovino con la fretta, non importa.

Non aspettatevi un capolavoro. Ha la sfacciataggine dell’opera prima. Dovessi a tutti i costi paragonarlo ad un altro libro, tirerei fuori uno che parla di partigiani, e il titolo del cui libro fa il verso ad una canzone fascista. Solo che, se dico del Sorriso del Conte che è come un libro di partigiani, etc etc, chi se lo legge più, Il sorriso del conte, in questa nostra epoca cosi assetata di facili distrazioni? Assomiglia, Il sorriso del conte di Claudio Calzana, a Primavera di bellezza di Beppe Fenoglio, perché entrambi i libri, con la sfacciataggine dell’opera prima, non cercano di nascondersi. Dicono come la pensano, e tant’è. Sta a voi decidere se vi siano piaciuti o meno, ma non c’è dubbio che entrambi i libri abbiano detto fino in fondo quello che avevano da dire, fino alla morte di Johnny, che si gira, vede cadere la bomba a mano del sergente Modica (si chiamava così? Vado a memoria) e le sorride, come Leonida (un elleno!) sorrideva guardando i Persiani avanzare. Come il Don del Sorriso del Conte, che si ritrova nei panni dell’amico morto, nella ricerca che occupa gli ultimi capitoli del libro.

E quindi Il Sorriso del conte a me è piaciuto. L’ho letto di getto, di slancio, di voglia di leggerlo, di una voglia di leggere che non provavo da mesi. Mi ha messo voglia di leggere altro, del Calz o di altri. Ho letto di tutto da allora, non ve ne faccio la lista – avevo iniziato – perché sarebbe davvero curiosa.

“Leggete, dunque, Il sorriso del conte di Claudio Calzana. L’autore, un elleno …..”. Quasi scordavo, del libro non vi ho detto pressoché nulla. Vi avevo avvertito, del resto, che, a parlare di questo libro, si finisce invece a parlare di sé. E, in ogni caso, mica vorrete che vi rovini la sorpresa, no?


Oggi, 8 settembre 2021, ho riletto questa lettera di Giovanni. Mi si è stretto di nuovo il cuore, ripensando alla sua scelta ultima.

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