Ida, che recensione!

17 Una mia storica lettrice, Ida, mi regala una splendida recensione de La cantante: ne sottolinea i momenti che più l’hanno colpita e affascinata. Ida non è nuova a contributi così intensi e originali, e ancora una volta riesce a sorprendermi per profondità di analisi e passione. Grazie infinite, Ida. [ccalz]
 
Chiudo tra le mani la nuova esaltante fatica dell’amico Claudio. Bersaglio centrato! Anche nel caso de “La cantante”, come del resto per “Lux”, parte avvantaggiato il lettore che ha già inciampato nei “quattro dell’avemaria” (o i “quattro moschettieri”, scegliete voi; sempre quattro sono): Dante, Carlo, Romeo e Spiridione. Quattro tipi speciali – ciascuno con un particolare carattere, una singolare sfaccettatura dell’animo orobico – che insieme formano un unicum inscindibile; se uno di loro mancasse, l’armonia e l’equilibrio sarebbero decisamente compromessi. Molto più avvantaggiato ancora il lettore che fosse di Bergamo o dintorni, perché la familiarità con l’ambiente, le zone, le strade citate, favorirebbe alla grande il godimento della narrazione. Comunque sia, chi pensasse di essersi semplicemente accoccolato in poltrona e di accingersi a leggere “La cantante”, sbaglierebbe proprio l’incipit. In realtà è seduto comodamente al Donizetti, nel palco di proscenio (quello reale mi sembra esagerato…).

Ecco: le luci si attenuano, il lampadario di cristallo si spegne lentamente, il silenzio si dilata e si fa totale… Si apra dunque il sipario! Fondale: Bergamo nel 1934-35. Ambientazione sociale: epoca del fascismo rampante. Personaggi: gli stessi che abbiamo incontrato e seguito nelle due puntate dell’Esperia e del Lux, con l’aggiunta di altre figure indispensabili per lo svolgimento della nuova avventura. Uno alla volta entrano in scena, mentalmente applauditi dal lettore: quelli conosciuti per la simpatia delle vicende precedenti, quelli nuovi per la curiosità di scoprirne il ruolo e la bravura. Abbandono il lettore al dipanarsi della storia. Lui ne trarrà poi un suo personale parere. Io do il mio. Innanzitutto ho richiamato il fascino del teatro perché “La cantante” è un racconto che deve essere assolutamente ‘ascoltato con gli occhi’: mentre loro scorrono sulle parole, l’orecchio attento afferra i palpiti, le sfumature, i toni alterati, suadenti, espressi talvolta nell’intraducibilità di termini dialettali o nella finezza di un vocabolario colto e prezioso che l’autore insinua a bilanciare la secca cadenza bergamasca dei semplici. [M. Colombo: Il dialetto bergamasco è un dialetto appartenente al ramo orientale della lingua lombarda, derivato dal latino volgare innestato sulla precedente lingua celtica parlata dai Galli. Le più importanti modifiche sono avvenute durante le dominazioni longobarde che hanno lasciato terminologie germaniche entrate a fare parte del linguaggio comune].

Fare una recensione del romanzo mi è difficile perché di per sé la sintesi potrebbe essere stilata, e forse banalizzata, in poche righe. Tutto ruota (è proprio il verbo giusto) intorno al grande avvenimento del primo “Circuito delle Mura”, nel 1935, e il racconto si apre l’anno prima, con l’arrivo a Bergamo – fra il tripudio del popolo festante e l’ansia giustificata dei politici di turno – di una vettura inviata nel mondo dalla gioventù hitleriana a mostrare la grandezza del progetto politico germanico. Di fatto si tratta di un assurdo marchingegno che funziona a pedali, ma dalle autorità presenti viene interpretato come guanto di sfida, raccolto e rimandato al mittente con il proclama di un prossimo circuito automobilistico internazionale a Bergamo. Per la verità il proclama è stato inventato lì per lì, per chiudere in bellezza e orgoglio l’avvenimento, ma viene subito trasferito di bocca in bocca, di stupore in stupore, e rimane in sospeso finché si presenta la necessità di concretizzarlo. Da qui parte una fantasmagoria di situazioni travolgenti che porta alla conclusione sperata: il primo “Circuito delle Mura” si scatena nel maggio 1935, con la strepitosa vittoria di Tazio Nuvolari. Tutto qui? No, assolutamente! Questo è il quadro, ma l’autore ci regala munificamente una cornice più attraente del quadro stesso, un’ostrica più bella della perla: una catena di incontri, trame, accordi, intrighi, imprevisti, titubanze e sfrontatezze che si intrecciano e si sciolgono per la realizzazione dell’evento. Il tutto con la sensazione di una documentazione scrupolosa, e tuttavia non didascalica.

Il sipario si alza sulla scena in cui si stagliano, in tutto lo splendore delle divise, i personaggi politici, ad inquadrare un momento storico pochissimo conosciuto, quello del fascismo che si sta radicando. Brevi e impietosi tocchi lo presenteranno poi nel corso dell’avventura, ma anche qui, nell’immediato, i ‘grandi’ rivelano le loro fragilità e incongruenze giocando il potere sulla scala gerarchica e non sul valore personale. Non si avverte la pennellata del giudizio, ma quella del ridicolo corrosivo. Ed ecco che arrivano le nostre quattro conoscenze: tutto si anima e pian piano si scatena il finimondo. Non mancherà, alla fine, neppure una spruzzatina di ‘giallo’, alla bergamasca naturalmente! Ma perché mi è così difficile questa recensione? Perché se illumino qualche angolo con un flash, infrango la magìa della scoperta. E qui le scoperte e le sorprese si rincorrono! E devo confessare che mi faccio forza a non trascrivere i tanti termini italianizzati ‘alla carlona’, perché voglio che anche voi finiate, come me, per leggerli come se nulla fosse, metterli cerebralmente a fuoco, tradurli d’istinto e piegarvi in due dalle risate. Non ne potrete fare a meno, credetemi. Non leggete il libro in una sala d’attesa ospedaliera, perché vi porterebbero via d’urgenza…

Ma… c’è un ma. Non è sempre così, come non può essere sempre così nella vita reale. Ci sono pagine struggenti, sofferenze taciute e soffocate, ricordi lancinanti, aspirazioni bloccate sul nascere, dolori inevitabili, sogni infranti o irrealizzabili. E non posso tacere i picchi di alta spiritualità, così toccanti e veri che ti vien voglia di farti il segno della croce. Perché, in quei casi, proprio di croce si tratta! Vogliamo tornare al sorriso? Bene, parliamo di sesso! Nel romanzo non manca neppure questo simpatico aspetto della personalità umana, ma nei suoi ‘attributi’ è presentato in un modo così saporitamente malizioso, spiritoso e plastico che ti rallegra l’animo. Perfino certi tradimenti o certe forme di scongiuro (le famose mani in tasca…) non scandalizzano in alcun modo, anzi nascondono una sorta di complicità data per scontata. Inevitabile una sottolineatura per la sottile, finissima ironia (non parlerei di comicità) che è il filo rosso anche di questo romanzo. Non tocca mai l’asprezza del sarcasmo, ma vola impalpabile e implacabile, riduce in polvere statue di marmo, distrugge monumenti che sembravano inattaccabili dal tempo e dalla Storia. Un romanzo che alla fine ti rende più consapevole di far parte di un ciclo vitale inarrestabile: quale è il passato? E quale il futuro? E fa tutto questo con sapiente leggerezza, di pagina in pagina, prendendoti per mano con simpatica amicizia, quasi con tenerezza.

E adesso cali lentamente il sipario e si riaccendano le luci in sala, mentre il grande Carlo Milesi declama da par suo: «Caràter de la rassa bergamasca: fiàma de rar, ma sóta la sènder, brasca!».
 

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