Suburra

subura
Per la rubrica delle mie parole belle è la volta di un termine particolare, suburra. Come ogni espressione ha la sua storia, che è bello raccontare: suburra sta per luogo malfamato, per quartiere dove il crimine si radica e l’immoralità pure. Suburra era un quartiere dell’antica Roma (siamo nella zona che va dal Quirinale e Viminale fino al Celio e all’Oppio) che al termine dell’epoca repubblicana ospitava gente pericolosa e postriboli d’ogni sorta. Un luogo da evitare, insomma, da cui deriva l’impiego – latamente ironico per via del registro alto – che identifica i quartieri sgangherati delle città, diciamo i ghetti o le banlieue che ci capiamo. Il termine compare in un epigramma di Marziale, nel quale descrive il collega Giovenale a spasso per tutta la Suburra, mentre si fa ventaglio con la toga nelle portinerie dei danarosi. È la fine che fanno i cliens, in particolare i poeti, quelli che gli tocca trovarsi un qualche facoltoso protettore se vogliono dare una svolta a un destino scalognato e gramo.

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