Del pesce a scuola

A scuola il primo aprile è un giorno a rischio per gli insegnanti. Ricordo un fottio di colleghi andarsene a spasso con il pesce incollato dietro, per tacere d’altri scherzi anche peggiori. A suo tempo, anche in questo campo mi sono distinto, e vi racconto come. Al mitico Sarpi poteva pure succedere che qualche reietto non si filasse le mie auguste lezioni. Succedeva di rado, ma capitava. E quel malcapitato di solito subiva le mie angherie. Così capitò a Marco, taciamo il cognome che è meglio, il quale si ostinava in ultimo banco a pensare ai fatti suoi, meglio non indagare cosa. Bene, quel primo aprile decisi che la misura era colma: siccome ero certo che lui non aveva seguito un ette della mia lezione, gli chiesi, come facevo di solito, di riassumerla per sommi capi a vantaggio dei compagni. Marco, dopo essersi scrollato di dosso la polvere dei secoli, partì inciampando al primo dunque. Intervenni allora chiedendogli di chiarire per bene il rapporto tra la filosofia e il pesce, “come peraltro ho spiegato tutta mattina”, gli dissi perfido. Ovvio che non ne avevo fatto cenno, ma lui prese lo slancio, con la classe attonita a seguire: “Il pesce in quanto simbolo del Cristo potrebbe significare…” e via ad almanaccare. “D’altronde la filosofia va sempre in profondità, e dunque il pesce potrebbe significare la verità, quella che va disvelata, l’aletheia…”. Strepitoso il Marco, devo dire. Senonché i compagni di classe si ritolavano per terra dal ridere, anche perché la faccenda durò 5 minuti buoni, in un crescendo di suggestioni surrealiste. Qualcuno, impietosito, a un certo punto gli rammentò la data, e Marco a quel punto comprese. Incredibile che non si fosse capacitato prima, eppure andò proprio così, evidentemente viveva in un mondo tutto suo. Dal quale mondo ha poi tratto profitto: oggi dirige con successo un’azienda tutta sua, e non pago è responsabile dei progetti multimediali per un grosso gruppo editoriale. Dove, mi si spiffera, qualcuno continua a prenderlo in giro, e non solo il primo aprile. Un suo collaboratore, per dire, ogni giorno gli fa credere di portare qualcosa apposta per lui (chennesò, una bustina di thé particolare), bustina che invece è presente e viva nel set delle risorse aziendali, proprio nello sportello lì di fronte. Ogni giorno Marco riceve il dono con signorilità, e mostra di gradire. Vuoi vedere che si è da tempo accorto dell’intrigo e ribadisce la pantomima per il sublime gusto di farla da padrone?
La tazza da thé qui allegata è di Maurits Cornelis Escher, con 30 euro e 70 è vostra.

2 Commenti

  • Claudio Calzana Posted 1 Aprile 2010 14:07

    Alain, non è che volevi dire Cromagnoide?

  • Alain Posted 1 Aprile 2010 14:04

    Il Marco è un chiaro esempio di Cromagnonoide

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