Il disco della Fougez

COPERTINA
 
E’ da poco in libreria un libro che mi è piaciuto al punto di redigerne con entusiasmo la prefazione. L’autore di questi racconti è Mario Chiodetti; il titolo, bellissimo, Il disco della Fougez; la copertina, preziosa, di Franco Matticchio. Lo si può richiedere all’editore, Alberto Palazzi (alberto.palazzi@libero.it). Due le presentazioni saranno: venerdì 8 dicembre, ore 17, alla Sala Consiliare del Comune di Gavirate in via De Ambrosis, e sabato 9 dicembre alle 17 in Galleria Ghiggini, via Albuzzi 17 a Varese. Segue la mia prefazione, magari vi fa venire l’acquolina in vista dei regali di Natale.
 
 
 
 
Non è certo un caso se il primo movimento di questa silloge di Mario Chiodetti volge lo sguardo all’indietro, rievocando le peripezie di nonno Bartolomeo: la dignità operaia e la manualità demiurgica sono i valori dell’avo conosciuto soltanto attraverso immagini seppiate.
A seguire, il misurato ritratto del padre: «Ogni parola, ogni gesto, ogni atto ha la sua misura, niente è superfluo o forzato. I giornali, il pane e la frutta, il buon vino, la carta e la penna, il denaro contante, i sandali di cuoio, cose solide, vere, compagne di tutti questi anni, insieme ai ricordi, al suo orologio Omega, alla vecchia Bmw tirata a lucido dal carrozziere e alla piccola radio Philips degli anni ’50 che tiene sul comodino da notte. Valori guadagnati».
A questa nostra epoca, che tutto gode e nulla stringe, l’Autore preferisce un’epica semplice e bella, semplicemente bella.
Cambio di ritmo: ecco il motivetto allegro di mamma Ebe, che con la sua Vespa ne combina di ogni, dopo aver barattato la filosofia con il grembiule nero della banca. L’immagine di lei che sfreccia per la via stilla libertà da tutti i pori. Libertà, forse la vera stella polare del nostro narratore.
L’ouverture di questo libro prezioso e talismano si rivolge dunque al passato, l’unica dimensione che può regalare conforto a questo nostro mondo frettoloso e insieme dannatamente pigro. Di suo, Chiodetti si raccomanda «alla saggezza dei vecchi e dei gatti e a milioni di parole e note musicali filtrate dai secoli».
Nei racconti di natura e avventura sono gli uccelli ad avere il sopravvento. Liberi e regali nel fendere la luce, richiamano la madre in Vespa, lievi come sono di vita e di mistero. Con un passo più meditato rispetto a quello dell’amatissimo Linati, l’Autore ritrae in modo magistrale l’ambiente e l’occasione: «Seduto, aspettavo l’abbaiar delle oche e pensavo a quanta bellezza avessi intorno e a come la vita questa volta fosse lì, vicina, nell’isola ritrovata dei passati misteri, quando altri uomini sbarcavano dopo anni di mare, nascondendo tesori nelle fondamenta delle chiese».
Nel mondo di Chiodetti, al tempo stesso magico e mite, i saltamartini hanno le movenze degli archi dei Berliner. Qui tutto si tiene: il pescatore che frusta l’aria con la canna e i quadri di un De Bernardi o Calderara; le mani sapienti di chi resuscita una Ganna d’epoca e il do di petto dell’Esultate; i 78 giri in gommalacca e un gatto che ancheggia verso il cibo, indolente e sussiegoso.
Ci vuole orecchio, direbbe Jannacci, anzi parecchio. Non a caso «quando Delio Tessa scriveva ascoltava la radio, dalle sue prose esce la voce di Rabagliati, del Trio Lescano e di Silvana Fioresi».
Certo, a volte capita di smarrirsi tra i mille rimandi, segni e bagliori. Allora è buona norma invocare degli angeli custodi, che talvolta accorrono in quantità industriale: così forse si spiegano i diecimila dischi che il Nostro ha per casa, le quattordici librerie, i grammofoni, le foto, gli spartiti. E al netto di una buona dose di gatti e di mistero, tra gli indispensabili compagni di vita indomito s’avanza Marcomauro Tomboletti, un tipo così sghembo da fare e farsi danno a ogni passo. A cominciare dalle feste comandate, l’incubo di coloro che non sanno disinnescare gli obblighi sociali, per tacer di femmine procaci e indifferenti.
Si sorride, ma sullo sfondo la domanda resta inevasa: come ci si libera dai lacci di un’epoca come la nostra, così egoista e sciagurata? Una modesta proposta: proviamo ad affidarci al «fiato originale» di questi racconti; e alla certezza dell’Autore, forse minima ma esatta: «Mai c’è solitudine, per chi sa amare davvero».
 

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