A Venezia

Venezia, Rio dell’Arsenale (Photo credits Claudio Calzana)

A Venezia per qualche settimana, ho preso parecchi appunti in vista di un libro che non scriverò mai. È un diario di viaggio a futura memoria, chissà mai che ci capiti di nuovo in laguna. Ma cominciamo dall’inizio, come si conviene. Se siete in cerca di un motivo per andare a Venezia, chiedete a Hugo von Hofmannsthal: «Andrea va principalmente a Venezia (se va a cercare il fondo nelle cose) perché lì la gente è quasi sempre in maschera» (Andrea o i ricongiunti). Quindi a quanto pare in laguna si può essere davvero se stessi, e fino in fondo, proprio perché si indossa una qualche bautta. Ora, di questi tempi la maschera più efficace non è quella che ti nasconde il viso, ma quella che ti mostra per davvero, sotto sotto. Insomma, Venezia scatena l’anima profonda della gente: l’indole contemplativa e assorta per alcuni – e qui mi ci metto – per altri una vocazione primitiva e rozza, si vede che tanta bellezza spaventa e soggioga.

D’altronde «Venezia non è simile ad alcun’altra; ogni volta che l’ho rivista dopo un’assenza prolungata è stata per me una scoperta nuova e, avanzando in età, progredendo nelle mie conoscenze e potendo, perciò, effettuare numerosi confronti, io vi ho sempre trovato singolarità nuove e nuove bellezze» (Carlo Goldoni, Memorie). E in effetti tutta questa bellezza chiede il conto: da un lato i turisti «hanno la testa a trottola, infilata su un perno; guardano da tutti i lati come se il tempo incalzasse» (Jean Giono, Viaggio in Italia); dall’altro, ovviamente, i medesimi si sfiancano per questa frenesia che non ha mai requie. È capitato persino a Goethe, che lo racconta in uno dei suoi Epigrammi veneziani: «Stanco ormai mi sentivo di non vedere altro che quadri, stupendi tesori dell’arte, quali Venezia conserva. Poiché anche questo godimento esige distrazione e riposo…». Già Montaigne nel suo Giornale di viaggio annotava tra le cose notevoli della Serenissima, nell’ordine: «il modo di governo, la posizione, l’Arsenale, piazza San Marco e la ressa dei forestieri». Ressa, e siamo nel 1580, mica oggi.

«I negozi di Venezia sono provvisti di oggetti stranissimi. Vi si possono trovare piegabaffi, piccoli archi d’acciaio per sostenere la volta plantare e correggere i piedi piatti, sospensori, scapolari di flanella, fiammiferi profumati, un prodotto per far scricchiolare le suole, un’altro che rende vaporose le cravatte, pettorali rigidi per gonfiare il torso senza fatica, calzini ragnati di nylon per abbronzare i piedi nei sandali e certi inverosimili denti neri di seta. Conosco una bella donna che usa spesso questo articolo per sembrare sdentata ed essere a volte lasciata in pace per la strada. Mi è stato detto che anche certi uomini molto belli fanno lo stesso. In una calletta di San Giorgio degli Schiavoni si vende una specie di portafogli che dappertutto sarebbe considerata una trappola e qui è preso molto sul serio: e un portafogli gonfiato artificialmente con gli orli frangiati dalla sporgenza di un mazzetto di banconote, false naturalmente. Questo scherzo è chiamato colosseo (che in questo caso non ha alcun senso). Mi è stato fatto osservare la leggerezza di questo colosseo che si può portare addosso senza inconvenienti, anche con il calore estivo, in un taschino della camicia o dei pantaloni. Tutti sanno, è evidente, che è un trucco; nessuno vi si lascia prendere interamente, eppure quei colosseo, a quanto pare, vanno benissimo in molti casi» (Jean Giono, Viaggio in Italia).

Venezia, Arsenale (Photo credits Claudio Calzana)

Sarà per tutta questa merce che ti sollecita all’acquisto di cose che una volta di rientro non ti capaciti, sarà per i turisti in fregola per le calli e lì vicino certi spazi vuoti e metafisiche vedute, fatto sta che Venezia appare il tratto più breve tra l’eccitazione compulsiva e un profondo desiderio di requie, tra l’agire frenetico e il ristare amniotico. In una parola: tra la vita e la morte. Senza scomodare l’Aschenbach di Mann, ascoltiamo nuovamente Goethe: «Questa gondola io rassomiglio alla culla che dolcemente dondola; e il “felze” che vi sta sopra sembra una barra spaziosa. Proprio così! Tra la culla e la bara dondoliamo sospesi, sul Canal Grande, senza pensieri, via a traverso la vita». Viene in mente la lezione di Joyce, che da qualche parte nell’Ulisse chiama cordone ombelicale le funi maneggiate dai necrofori intenti a calare una bara. Non sfugge peraltro che a morire è Venezia tutta, lentamente fin che si vuole, ma senza appello. Bisognerebbe dar retta a Simone Weil, che nel 1940 profeticamente faceva dire a un suo personaggio: «Una cosa come Venezia, nessun uomo può farla. Dio solo. Ciò che un uomo può fare di più grande, che più lo avvicini a Dio, poiché non gli è dato creare simili meraviglie, e preservare quelle che già esistono» (Venezia salva).

Venezia è costruita su labirinto di pali che la sostiene, una sorta di foresta all’incontrario. Le costruzioni son ricche di finestre per esser più leggere, mica più leggiadre. In questo caso la bellezza è una conseguenza, o se preferite una necessità. E poi: Venezia accusa tutte «le restrizioni dettate dal mare, la parsimonia del suolo» (Marcel Proust, Albertine scomparsa, in Alla ricerca del tempo perduto). Già, tutto è stretto in Venezia, certe calli raggiungono a malapena il mezzo metro di larghezza. Eppure, d’improvviso, si slargano campi di nobile estensione, e per prima cosa pensi che servano a dar respiro alla chiesa lì in affaccio. Ma non è per quello: i campi avevano la funzione di custodire l’acqua piovana. Sotto le masenghe – il rivestimento in pietra del selciato – una grande cupola di creta accoglieva l’acqua incanalata da appositi trafori, la filtrava con la sabbia, restituendola linda tramite il pozzo centrale. Ogni famiglia poteva così contare su una decina di litri al giorno d’acqua buona, se ricordo bene lo evoca Goldoni nel Campiello. E comunque Venezia ha sempre avuto fame d’acqua dolce, al punto che doveva farla arrivare dal Brenta. Lo racconta a modo suo Montesquieu nelle Lettere persiane: La città stupisce, scrive lo straniero Rica, è ricca di cose belle e conoscenze, ma «manca del tesoro più prezioso che ci sia al mondo, cioè l’acqua sorgiva; è impossibile compiervi una sola abluzione rituale. Per il nostro santo profeta è un abominio e dall’alto del cielo la guarda sempre con collera».

Forse anche per questo alla fin fine per alcuni Venezia è semplicemente sporca, con gabbiani e ratti che si contendono le scovasse. Gabbiani che, sia detto per inciso, pian piano stanno sloggiando i piccioni, che si son ridotti nelle zone più lontane dalla laguna o al ruolo di figuranti in piazza San Marco, per le foto di rito. Scrive in una sua lettera Theodor Fontane: «Venezia è interessante passo per passo, incantevole come paesaggio, poetica da cima a fondo; e tuttavia non rappresenta quella forma della bellezza che vorrei avere costantemente davanti agli occhi. Sotto questo aspetto, diciamolo senza riguardi, la città presa in blocco così com’è, è troppo sudicia. Ha bisogno del chiaro di luna, che fa vedere le cose soltanto a metà. Ha bisogno di velature per tornare ogni volta a incantarci». Forse Fontane ha ragione, chissà. Nel dubbio, quando capita una giornata troppo limpida e bella, è meglio andar per isole. La splendida Mazzorbo, da lì puoi raggiungere Burano via ponte; San Michele, con il suo struggente cimitero; oppure Torcello, che vanta una basilica – la prima dell’intera laguna – che custodisce mosaici greco-veneti di raro splendore. Il famoso giudizio universale, a quanto pare, ha ispirato Dante per scandire il suo viaggio poetico e di fede.

Isola di Torcello, Basilica di Santa Maria Assunta (Photo credits Claudio Calzana)

3 Commenti

  • Valeria Lupi Posted 20 Maggio 2023 23:53

    Il viandante che giunge a Venezia impreparato può venire sopraffatto. Serve un lungo apprendistato per reggerne la visione. E invece viene aperta a tutti, così il tesoro si disperde e si ammala

  • Vladimiro Salvi Posted 19 Maggio 2023 15:57

    Venezia è un pezzo d’anima fatta di pietra e acqua. Sta lentamente sparendo, come ogni cosa umana e bella

  • Elena Stampini Posted 23 Aprile 2023 16:19

    Nella sua perduta unicità Venezia reca un messaggio di malinconia a cui è difficile sottrarsi. Insieme eccita e placa.Magia

Aggiungi Commento

Rispondi a Vladimiro Salvi Annulla risposta

Your email address will not be published. Required fields are marked *