Ricigliano

Ricigliano, il ponte di Annibale (fonte Wikipedia)

[25] A dar retta a Google Maps, tra Teora e Ricigliano ci sono meno di 50 chilometri, diciamo un’oretta di macchina. Non ai tempi del dopo sisma, ovviamente, quando le strade erano un’incognita, la benzina non la trovavi, il ghiaccio era sempre in agguato e del guard-rail talvolta restava giusto un frammento. Ma mi ero messo in testa di andarci a Ricigliano, volevo vedere se si potevano coordinare gli aiuti con i gruppi di laggiù. Mi sembrava insensato che tra noi volontari si comunicasse poco, per non dire nulla. Ciascuno faceva di testa sua, mancavano pratiche condivise, modelli di coordinamento, magazzini accessibili organizzati. Probabilmente qualcuno mi aveva detto che a Ricigliano ci stavano provando, che c’era un capo campo da conoscere: insomma, non ricordo bene l’origine di quel mio viaggio. Ricordo solo che me lo sconsigliavano tutti: non solo per le strade, ma anche perché non ci avrei cavato granché. Ma io ero zuccone, e zuccone sono, per cui infilai una 850 Fiat di non so più chi – le jeep mica te le prestavano per i viaggi “di piacere” – e mi misi in viaggio. Avevo una direzione di marcia, ma di cartelli ce n’erano pochi, gente in giro ancor meno. Solo la neve era tanta. Dopo un paio d’ore non sapevo più dov’ero. La direzione l’avevo rispettata, certo, ma erano più le volte che mi toccava entrare nel primo paese a chiedere informazioni che le strade giuste. Nel mentre, mi organizzavo il da farsi e da dirsi: mi ero fatto tutta una specie di inventario mentale di quel che avevamo a Teora in termini di aiuti e di beni, e di quel che magari serviva; e immaginavo, ingenuo com’ero, che una volta giunto sul posto il mio collega – avvisato per tempo, s’intende – avesse fatto altrettanto. Nella mia candida mente di studente universitario era un po’ come scambiare le figurine: ce l’ho manca, ce l’ho manca…

Inutile dire che il viaggio a Ricigliano non portò a nulla. Zero assoluto. Il solo fatto che uno arrivasse apposta da Teora veniva visto con un sorriso, per non dire con sospetto. Il giovane capo campo era esperto, ne aveva viste di ogni, ma delle mie preoccupazioni logiche e logistiche non gliene importava più di tanto. Siccome era garbato, mi lasciò parlare per un po’; per poi dire che era giunta l’ora di pranzo, e quindi era più che consigliabile correre in mensa per evitare il rischio di non trovar più nulla da mettere sotto i denti. Subito dopo fu preso da non so quale emergenza, io lo aspettavo in zona, per vedere come si erano organizzati. Va detto che nel dopo terremoto paesaggi e scenari si somigliavano tutti: accanto al paese, o meglio nei pressi delle rovine, spiccavano mezzi meccanici di vario genere e specie, tende affollate nel fango con sprazzi di neve, roulotte e materiali vari a perdita d’occhio, un viavai continuo di gente affaccendata e svelta. A un certo punto ricordai la raccomandazione che mi avevano dato al campo: «Non tornare col buio!». Fatti due conti, ero a rischio. E senza attendere il collega, ripresi l’auto nella convinzione che avrei più o meno facilmente ritrovato la strada. Balle.  Andò giusto come all’andata, a chiedere a destra e manca qui dove siamo e da che parte si va per Teora. A un certo punto, lo ricordo bene, mi ritrovai per una strada a fianco di un monte; e siccome lì il guard-rail mancava del tutto, guidavo attento a non avvicinarmi allo strapiombo. Ma un colpo sordo e improvviso fece sbandare la vettura: una gomma aveva centrato in pieno una pietra di cospicue dimensioni. Risultato: foratura con squarcio. Ora, io alla voce “come cambiare una gomma” ero e sono parecchio scarso, ma perlomeno al tempo ebbi il coraggio di provarci. Tiro fuori la gomma di scorta e con il cric mi metto al lavoro. Niente da fare, la botta era stata così forte che i bulloni non ne volevano sapere di svitarsi, erano stati piegati dall’urto. Ero tanto sudato quanto certo che da solo non ce l’avrei mai fatta. Ormai si stava facendo buio, e iniziava lentamente a nevicare. La possibilità che a quell’ora passasse qualcuno era come la temperatura: prossima allo zero. Controllai il serbatoio: stando attento a non esagerare, avrei potuto riscaldarmi per buona parte della notte, la mattina dopo magari sarebbe successo un miracolo. E invece il miracolo avvenne nel giro di pochi minuti, sotto forma di un’auto di Carabinieri. Erano ragazzi poco più grandi di me. Ci si misero in due per forzare i bulloni, tra la neve che scendeva decisa e il buio che si faceva spesso. Con la ruota a posto, tra noi ci fu un abbraccio fraterno. Ero convinto che fossero Angeli mandati apposta per me. E lo sono ancora.


La puntata numero 26: L’occhio di Mefite. Tutte le puntate del mio Ritorno in Irpinia.

1 Commento

  • Edoardo Posted 19 Marzo 2023 10:48

    Splendido il parallelo tra il lago sulfureo e l’abbazia, il suo sguardo sulla nostra terra è allo stesso tempo nuovo e antico. Grazie

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