Novanta secondi

La prima pagina de Il Mattino del 26 novembre 1980

[7] C’era un caldo strano, quel 23 novembre, quasi estivo, lo ricordano in molti; Stefano Ventura, oggi ricercatore, aveva sei mesi il giorno del sisma, e abitava a Buiggio, in Canton Ticino. «Tutti i racconti descrivono la giornata del 23 novembre, una domenica, facendo riferimento alla mitezza dell’aria novembrina, un’eccezione concessa di rado in una zona di montagna come l’Irpinia. Quella calma dell’aria veniva associata, in questi racconti e nella credenza popolare, ad un presagio di sventura, un ribollire delle viscere della terra e potenza naturale sovvertitrice. La forza con cui la terra tremò alle 19:34 del 23 novembre 1980 fece sì che quel presagio di sventura si tramutasse in realtà» (Stefano Ventura, Non sembrava novembre quella sera, Mephite editore 2010). La scossa venne preceduta da un forte boato. Raggiunse una magnitudo del 6,9 della scala Richter (10-11 della scala Mercalli), l’equivalente di 15 bombe di Hiroshima nella zona dell’epicentro, stiamo parlando di qualcosa come 5 milioni di tonnellate di tritolo. Le scosse furono avvertite da Bologna a Catania. I morti furono 2914, i feriti 8848, i comuni colpiti 687, 37 totalmente distrutti, circa 300mila i senza tetto. D’altronde la fragilità degli edifici della zona era proverbiale, per tacere del tufo che costituisce gran parte del sottosuolo. Circa 20 mila i volontari accorsi, alcuni dei quali purtroppo persero la vita prestando aiuto alle popolazioni colpite. La scossa durò un’infinità, 90 secondi. L’audio di quella scossa, registrato per caso da un’emittente locale, è un documento che quasi non si riesce ad ascoltare.

Nel 1980 numeri e bilanci erano ovviamente di là da venire. Tutto era frammentario, parziale, incompleto. Arrivato a Teora, conobbi il sisma, e le sue drammatiche conseguenze e angosce, dalle mezze parole e soprattutto dai silenzi di chi l’aveva vissuto sulla propria pelle. Provate a metterli in fila questi 90 secondi, provate a immaginare che per questo tempo infinito l’universo vortica intorno a voi, il sopra e il sotto si confondono, non si riesce a stare in piedi, i muri crollano, la polvere ti soffoca, chi se ne sta per strada viene sbalzato lontano, o colpito da rovine di edifici, ovunque si aprono voragini, e poi le grida, il dolore, l’abbandono: «Le rovine sgretolarono, candite dei corpi interrati. La Storia si cancellava da sola» (Vinicio Capossela, Il paese dei coppoloni). I morti furono molti anche per il giorno e l’ora. Alle 7 di sera in molti paesi si celebrava la messa vespertina. A Balvano, paese in provincia di Potenza, in chiesa le vittime furono 66. Sempre a quell’ora, la domenica si trasmetteva un tempo di una partita di serie A e molti si davano appuntamento al bar per vederla insieme. Racconta Gaetano Vitale, medico condotto di Teora: «Ero uscito dal bar dove una ventina di persone stava guardando alla TV l’incontro Juventus-Inter. Un attimo dopo il bar non c’era più» (da Stefano Ventura, Non sembrava novembre). Quando giunsi a destinazione, ancora non lo sapevo: l’epicentro della scossa era stato proprio tra Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania.

Il trittico Terrae motus di Andy Warhol.

L’ottava puntata del mio viaggio.

Tutte le puntate del mio Ritorno in Irpinia.

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