Il “commento” di Ida a Esperia

Quello di Ida, mia storica e affezionata lettrice, non è solo un commento, come lei mi scrive: semmai è una recensione, documentata e attenta, al mio nuovo romanzo, “Esperia”. Quando a un lettore piace un mio testo, il mio lavoro prende veramente vita, e mi rende con gli interessi gli anni spesi a scrivere e limare. Grazie ancora, Ida. [ccalz]


Il mio benvenuto all’opera seconda dell’amico Claudio, opera attesa con grandi aspettative, a mio parere assolutamente soddisfatte.
Cominciamo dall’esterno. Al contrario del precedente romanzo, “Il sorriso del conte”, la copertina non offre una splendida e coloratissima figura di donna, ma una foto d’epoca, in rigoroso bianco e nero, in cui sono presentati tre austeri signori a bordo di un’automobile. Mette un po’ soggezione, ma fa capire subito in quale periodo della nostra storia saremo catapultati: gli inizi del ’Novecento.
Ed eccoci al contenuto, con tanto di fondale, personaggi, vicenda a fuochi d’artificio.
Il fondale è la nostra Bergamo, con tre principali prospettive: Città Alta, Borgo S. Caterina, Borgo S. Leonardo (Lunardo, che tra parentesi è il mio borgo natìo, e quindi particolarmente caro). Già questo è di per sé coinvolgente, perché si parla di una terra precisa, con precisi riferimenti storici e sociali, che arricchiscono la narrazione e sono autentiche chicche di informazione.
I protagonisti poi sono concretissime creature bergamasche nel loro carattere singolare: i piedi ben saldi a terra, pur nutrendo ambizioni, sogni e fantasie. Personaggi tra loro assai diversi – come è bene che sia nella quotidianità – eppure così inscindibili l’uno dall’altro. L’insieme della combriccola ha l’aspetto di un’unica e compatta entità con diverse sfaccettature: incredibile abilità dell’autore!
I maschi della situazione hanno poi, alle spalle e al fianco, altrettante donne (anzi, Dante ne ha cinque!). Anche loro diverse per età e temperamento, ma complementari e indispensabili per incorniciare il quadro dei loro uomini: mariti, compagni, figli.
La vicenda: siamo in piena Commedia dell’Arte, con un’incredibile vivacità di situazioni. Un susseguirsi mozzafiato di sfide, sconfitte, vittorie, progetti, contrattempi, congetture, ripensamenti, azioni, disavventure di ogni genere. E il lettore viene trascinato in questo vortice proprio dall’autore che gli si rivolge direttamente, con un provocatorio: “voi, che avreste fatto?…”. Siamo chiamati in causa, amici cari!
Il canovaccio c’è e si dipana, con incalzante precisione, tra dialoghi molto fitti. Anzi, ha tutto l’aspetto del copione di un’opera teatrale. Le parti narrative sono veramente poche, e sono sempre in preparazione alle botte e risposte che arrivano immediate. Come dicevo, è un romanzo molto parlato e fin dall’inizio si scopre un accorgimento molto acuto: alle frasi pronunciate ad alta voce, molto spesso seguono immediatamente i pensieri più veri e reconditi di chi le ha pronunciate. Dov’è l’accorgimento? Eccolo: le frasi dette sono tra virgolette scolastiche («…»), mentre quelle pensate, e straordinariamente folgoranti, sono tra virgolette semplici (“…”). Una subito dopo l’altra: posso garantire che questi commenti silenziosi ti piegano in due dal ridere, perché sono in realtà le stesse idee e obiezioni che passano in mente a te che leggi!
La trama è avvincente e avviluppa nell’atmosfera di un vero e proprio giallo. Provinciale fin che si vuole, ma genuinamente giallo dall’inizio alla finale, insospettata e insospettabile.
Come è giusto che sia, trattandosi di personaggi ‘quotidiani’, si comportano come la vita di tutti i giorni li ha plasmati. È inevitabile ammirare l’abilità incredibile dell’autore nel farne degli autentici ritratti. Sono lì da toccare nei loro balzi di umore, negli entusiasmi prorompenti, nelle tresche complicate, nei progetti arditi, nelle sconfitte cocenti, negli affetti più intimi. E queste tensioni vengono regolarmente sbloccate da quelle famose frasette pensate con fine ironia. Viene tutto sdrammatizzato con una eleganza impagabile. Dante, Carlo, Spiridione, Romeo, hanno sentimenti forti che li portano a scelte avventurose, a risultati non calcolati, e talvolta ad esplosioni imprecatorie, talmente giustificate da non scandalizzare per niente.
Il grande Buffalo Bill viene presentato nel suo aspetto più umano: la facciata rimane quella dell’ideale eroe del lontano West, ma sotto sotto si intravede una sorta di mentalità meschina che lo sgretola agli occhi dei protagonisti, e non solo ai loro. Non ispira, per la verità, molta simpatia! Tuttavia, per l’onestà che gli è insita, Dante gli riconosce una straordinaria capacità organizzativa e una inquietante e invidiabile abilità nello sparare.
Lo stile rimane sempre raffinato, d’alta classe, pur nella semplicità della trama (che naturalmente non fa parte di questo commento, altrimenti salta tutto il gusto della scoperta). I termini sono scelti con precisione, il dialetto entra in scena quando è necessario (nelle imprecazioni è quasi d’obbligo), viene fornita una spassosa spiegazione dei soprannomi dati a particolari personaggi (non li nomino affatto, per non togliere il piacere di inciamparvi personalmente), si citano medicinali e terapie del tempo, che riescono davvero a far sorridere al pensiero delle nostre esorbitanti farmacie. E non manca neppure un pizzico di peperoncino in certi sottintesi maliziosi, ma garbati.
Posso essere parziale, ma è davvero un libro bello, e credo che abbia richiesto un notevole lavoro di rifinitura, un lungo tempo di cesellatura; rimanda a quelle feste familiari in cui i preparativi del pranzo costano un mese di progetti e di preparativi affannosi, immane fatica che si tramuta in un’ora di purissimo godimento.
Intelligente, godibile dalla prima parola al punto finale, all’incredibile conclusione. Per la prima volta nella mia vita di lettrice, non sono riuscita a trattenermi dal leggerlo golosamente: le pagine scorrono inarrestabili. È come un vino frizzante e fresco in una giornata di calura: potrebbe starsene tranquillo nel bicchiere con le sue evanescenti bollicine, ma la mano si allunga implacabile per il sorso successivo, già consapevole che non riuscirà a trattenersi finché l’ultima bollicina non sarà stata raggiunta.
 

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