Nando Pagnoncelli romanziere?

Qualche giorno fa, il Nando – con l’articolo davanti, mi raccomando – mi ha mandato una mail in risposta a quel mio lettore che lo esortava a darsi ai romanzi. Il lettore in questione aveva letto il post nel quale il Nando immaginava un sondaggio dedicato ai personaggi del mio romanzo, con esiti comici e surreali insieme. Romanzi a parte, leggete con attenzione quel che mi scrive il principe dei sondaggisti sull’imbarbarimento della politica. Sono considerazioni insieme amare e realistiche, tipiche di chi ama ponderare, ovvero pesare, anche e soprattutto le parole. [ccalz]

Rispondo all’esortazione del lettore “nando: scrivi anche tu un romanzo” confessando senza vergogna e senza falsa modestia che, a differenza dell’augusto Claudio, non ho le qualità, la fantasia, la capacità narrativa di uno scrittore. Molto più modestamente ho scritto e scrivo saggi sui temi di cui mi occupo e che mi appassionano: l’analisi della pubblica opinione, delle dinamiche sociali, dei comportamenti degli individui, della politica. Spesso, con un tono che mi viene riprovato essere un po’ troppo moralista, metto in luce le criticità nell’utilizzo dei sondaggi che, in un epoca come la nostra caratterizzata da una campagna elettorale permanente e dalla cosiddetta “democrazia del consenso”, di sovente vengono utilizzati più come strumenti di comunicazione e propaganda che come strumenti di analisi. Più che a “misurare” servono a “creare” opinioni. Tutto ciò genera una politica sterile, asfittica, concentrata sul presente, incapace di progettare il futuro attraverso una coraggiosa politica di riforme (solitamente impopolari). Una politica guidata pericolosamente dai sondaggi che rappresentano la bussola con cui ottenere un consenso immediato (quanto effimero). Una politica che confonde il consenso reale, quello ottenuto con il voto degli elettori, con quello virtuale rilevato dai sondaggi. Quante volte abbiamo sentito leaders politici dire non già in base ai voti ma ai sondaggi: “gli italiani sono con noi”, “lo vogliono gli italiani” oppure denigrare gli avversari con espressioni del tipo: “siete la minoranza del Paese, gli italiani vi hanno abbandonato”? E che dire della nefasta convinzione, alimentata dai sondaggi, che in ogni assemblea, da quelle condominiali a quelle istituzionali, “la maggioranza ha sempre ragione”? il primo referendum di cui si ha conoscenza fu quello che contrappose Gesù a Barabba: sappiamo come andò a finire ma personalmente ho più di un dubbio che fosse la decisione giusta. La maggioranza ha il diritto-dovere di decidere ma non è sempre detto che abbia ragione. Insomma, il sondaggio da strumento di democrazia (che consente di conoscere le opinioni dei cittadini) corre il rischio di diventare una vera e propria minaccia per la democrazia. Di tutto ciò mi capita di scrivere nei miei saggi. Ma,senza voler essere demagogico, osservando la politica degli ultimi tempi forse più che di saggi si tratta di commedie (o di tragedie).
La vis comica che promana dalla politica mi ha indotto a ironizzare sulla vicenda del famoso “sondaggio americano” che rappresentò uno degli strumenti comunicativi più efficaci utilizzato da Berlusconi nella campagna elettorale del 2006 (contribuì alla rimonta del centrodestra e al “quasi-pareggio con Prodi). Titolai il saggio, ospitato in una collettanea sulle elezioni del 2006, ispirandomi alla famosa canzone di Renato Carosone “Tu vuo’ fa l’americano: cronistoria e analisi del sondaggio PSB”.
 

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