Anna, anzi Nuccia

Caro Claudio,
ci sono almeno tre cose che mi porterò del tuo romanzo che ho riletto in questi giorni, con maggiore calma interiore:il sorriso e l’ironia sottile che cura le ferite e scioglie le emozioni troppo forti, la genitorialità difficile di padre in figlio, l’umanesimo della morte.
Da Lorenzo a Gabriele a Gian Giacomo, ad Angelo si ripercorre il senso di una ricerca mai compiuta sul nostro specchio, dai discorsi veri da padre a figlio, alle ansie, alle disillusioni, alle fantasie educative, alle fughe, alle assenze e alla fine alla riscoperta del padre dentro di sé, per chi ha la fortuna di questa scoperta.
E’ poi c’è la morte che a saperla guardare è come nell’omelia di don Luigi in sintonia con la vita anzi ne esalta, in coerenza, tutta la sua bellezza.
E nel paesaggio del romanzo l’infinita saggezza delle donne.
Allora l’elenco potrebbe continuare con i luoghi di un nord profondo e di una parlata che mi ricorda la mia infanzia, con il gusto delle scoperte e del paradosso, ma con la ricerca sottile di un’atmosfera, che al di là dei luoghi e dei tempi, ci consegna la provincia di un’Italia, sempre attuale, come nella migliore tradizione dei romanzi popolari e che mi ha ricordato, al di là dei luoghi, i Vicerè di De Roberto o le novelle del Verga.
Tutto questo con la leggerezza di un racconto che fugge via divertente
Grazie del libro e della fratellanza che ci unisce indissolubile in un sorriso che ci sarà sempre caro,
Anna Castelli

C’è davvero molto, starei per dire tutto, in queste parole di Nuccia. Lei che a Bergamo è stata da piccina, poi lontana, ma per sempre contaminata, a quanto pare, dal nostro burbero dire. Lei che richiama, e a ragione, l’infinita saggezza delle donne. E la paternità, non si sa mai come prenderli i padri, e nemmeno i figli certe volte. Infine Carlo, soprattutto Carlo, e quel suo sorriso a noi così caro. [ccalz]
 

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