Bergamo capitale, il Mirko e la strada

Scultura di Ugo Riva

Scultura di Ugo Riva

Domanda: come ci siamo svegliati oggi noi bergamaschi all’indomani dell’esclusione dalla lista delle città candidate a Capitale Europea della Cultura? Preciso il quesito: siamo più ricchi o più poveri rispetto a ieri? Io dico più ricchi, certamente più ricchi. E butto lì un paio di motivi: in primo luogo perché del lavoro in questo percorso c’è stato, eccome. Non entro nei contenuti, mi basta richiamare il metodo: per parecchio tempo squadre di orientamento politico e ideale differente hanno lavorato fianco a fianco, si sono confrontate, hanno dialogato, hanno costruito insieme, sbancato e gettato le fondamenta per un nuovo modo di immaginare la città e il suo destino. Non sempre accade in questa terra di solisti, di eccellenze manuali e pratiche che catturano la sintesi giusto al momento del riposo, e prima di richiamare nuovamente il passo.
Secondo motivo: magari questo percorso proprio nella sconfitta qualche certezza in più ce l’ha regalata. Ad esempio, che non basta esser bravi e vantare eccellenze a destra e manca, ma occorre lavorare su alcuni fondamentali, primo fra tutti l’immagine che fuori Bergamo si ha di noi. Se lontano dalle mura amiche il resto del mondo resterà fermo al “de sùra e de sóta” potremo partecipare a tutte le competizioni che volete, ma saremo sempre accolti con il sorrisino riservato agli zotici di professione, quelli che magari sono anche bravini se ci si mettono, ti tirano su la casa in un fine settimana, ma la cultura lasciatela a quelli veri. Se ci faremo consapevoli di questo antico destino, e ne verremo a capo, non ci sarà commissione che tenga, o verdetto: ce la faremo da soli, saremo comunque capitale, e senza bisogno di patenti o diplomi.

Erminio Maffioletti, Composizione su olio e tela (prima metà anni '60)

Erminio Maffioletti, Composizione su olio e tela (prima metà anni ’60)

Certo, ieri è stato anche il giorno che ci ha lasciati il Mirko. Per molti di noi oggi questo qui è un lutto vero, che ci lascia più poveri e soli. Ai tempi del liceo mi capitava di far un po’ di strada con lui, fino a ore tarde a contarla su sul mondo e quel che non funzionava, e magari non funziona ancora. Per il Mirko l’intera giornata era un tracciato dal respiro corto, da lampione a semaforo, con quel suo compasso sghembo, il sorriso sprigionato nell’economia dell’equilibrio. A forza di passi a singhiozzo, per non dire arrancando sui pedali, lui e la sua miodistrofia devono aver fatto due o tre volte il giro del mondo, minimo. Con un’ostinazione e una leggerezza insieme che se ci pensi oggi ti vien su un groppo grosso così. Mi ricordo quella volta che mi chinai per aiutarlo a tirarsi in piedi: un urlo strozzato appena lo sfioro, un no da immobilizzare un bisonte. Già, voleva sempre fare tutto da solo: eppure stava bene con tutti, e per tutti discorsi, argomenti e sorrisi; qualche volta rimbrotti, e comunque da un punto di vista ulteriore. Grande Mirko, anche stavolta indicaci la strada.
 

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