Blazer 9, mastercard honoris causa

E poi è andata come scrive Leone, tanto che riprendo quel che segue pari pari dal suo blog. Ci sarebbe pure qualche distinguo da fare, ma l’eventuale reato è ormai in prescrizione. Ma lasciamo la parola a Leo Belotti, che ci spiega che è successo dopo la pubblicazione del Blazer.

I pesci abboccano. Le prime recensioni appaiono su Il Manifesto e Milano Finanza. Ci si chiede se Sean Blazer sia De Benedetti o Luciano Benetton. Il libro va esaurito. Boggi non resiste. Rilascia un’intervista a “Diario” dove si rivela come imprenditore di sinistra (!). Subito dopo Panorama fa un reportage di 4 pagine con la mia foto e rivela che Sean Blazer è un anarchico di destra (!). La mia idea su Sean Blazer era quella di un nome collettivo che chiunque potesse usare come scudo-egida, tipo Luther Blisset. Speravo che dieci, mille Sean Blazer saltassero fuori ad alimentare l’incendio. Invece dopo tre settimane, visto che dietro non c’era Benetton né un pari requisiti, era tutto finito e l’unico ad essere rimasto bruciato era il sottoscritto. Nella mia ingenuità, immaginavo che dopo questo attacco al sistema tipo Davide contro Golia (un lavoro giornalistico con i fiocchi, a parere di tutti gli addetti ai lavori) mi si sarebbero spalancate le porte della grande editoria, o del grande giornalismo. Sbagliato. Anche da L’Eco di Bergamo, per il quale scrivevo di arte sacra, altra mia passione castrata, fui allontanato col marchio di “inaffidabile”. Invece del Pulitzer, mi ritrovai con un pugno di mosche. Per trovare lavoro, dovetti cambiare nome e sesso (Alice Lewis) e rivolgermi all’unico settore editoriale dove vige piena e totale libertà d’espressione: Harmony, Confidenze, Intimità e Grand Hotel, romanzi rosa e fotoromanzi. In seguito non sono mancate altre sorprese amare (la metamorfosi possessiva del vecchio Boggi, identificatosi totalmente in Sean Blazer) ma anche alcune soddisfazioni (la stima di Benedetta Barzini, che volle conoscermi, e inserì il testo di Sean Blazer nel programma d’esame del suo corso di Storia della Moda all’Università di Urbino) e qualche sorpresa tardiva, come la telefonata di settimana scorsa, quando mi si invita a una trasmissione televisiva sulla moda, per discutere se il mio pamphlet, che ha ormai 14 anni, sia ancora d’attualità. […] Cosa dire? Fare un libro per definizione effimero, un pamphlet,  sull’argomento più effimero che ci sia, la moda,  e ritrovarselo poi come testo universitario, e passati 14 anni scatenare ancora un putiferio, e tutto questo senza fare carriera e senza guadagnare un euro, beh, sono soddisfazioni impagabili. Per tutto il resto, ci vorrebbe la Mastercard honoris causa [la saga giunge a compimento].  

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