Della morte e altre paure

Francis Bacon, Man Turning on the Light

Dopo averlo segnalato qualche post fa, a lettura avvenuta parlo con maggiore proprietà del libro di Alberto Mazzocchi, Morire di paura edito da Nuova Ipsa. Piccolo per mole, è un saggio che affronta il tema senza supponenze, o rimedi radicali; senza spocchia o chissà quali riverberi estremi. In breve, il libro racconta in primo luogo che la paura di morire è uno dei mali, se non il male, della nostra società occidentale. Stavo per scrivere ” società accidentale”, un refuso di quelli che te la dice lunga. Per via di questo male, che ammorba, va a finire che siamo fin troppo attenti, per non dire ossessionati, da malattie, fastidi, dolori, che tutti rimandano per l’appunto al momento estremo. Siamo dei fanatici del corpo e delle sue vere e soprattutto presunte esigenze. La morte invece è quel momento che per natura va previsto e secondo natura vissuto, come nello splendido racconto di Tolstoj, La morte di Ivan Il’ič, nel quale solo il servo Gerasim sa cogliere il tormento del protagonista, avviandolo verso una morte naturale, ovvero libera e serena. Non per niente le ultime parole di Ivan Il’ič sono: “Che gioia!”. Forse la morte ci spaventa perché, come sosteneva Heidegger con quello che solo apparentemente è un gioco di parole, è la fine di ogni possibilità. Anzi: se la vita è costitutivamente fatta di possibilità, possibilità tra le quali esercitare delle scelte, la morte è appunto possibilità dell’impossibilità di possibilità. Ma torniamo al dunque: nel libro di Mazzocchi, correttamente a mio avviso, si fa presente come troppo spesso da noi la malattia sia un’esperienza fraintesa. Nel senso che se ne vedono gli aspetti fisici, materiali, la si individua come risposta per l’appunto malata di questo o quell’organo. La si attacca con farmaci d’ogni tipo, sapientemente sviluppati e pubblicizzati dalle case farmaceutiche, che d’altronde di questo campano. A ben vedere, dice l’autore, la malattia invece molto dice di noi, di quel che viviamo in senso più ampio. Noi non siamo solo corpo e mente, ma anche anima, ovvero un tutto al quale per primo il medico deve sapersi rapportare. Questo aspetto, non solo retorico, e nemmeno banalmente emotivo, è il punto di vista più completo al quale aspirare se si vuol cercare di comprendere l’uomo nella sua interezza.

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