Insegnare, che sballo (racconto, 1 di 2)

Pino Pascali, Ometto col baffetto (1962)

Ne sono fuori da cinque anni: forse ce l’ho fatta, ma non è detta l’ultima parola. Meglio non allargarsi, potrei cascarci di nuovo. Sì: cinque anni fa mi facevo di scuola, adolescenti e compiti in classe, persino di collegi docenti. Ero talmente fuori che tenevo lezione di Civica ai piccioni sul cornicione, della serie “ragazzi non è bello sporcare giù sotto”.
Oggi non è più così, ho capito cosa rischiavo e ho detto basta. Oggi lavoro in un’azienda, altro mondo, altra vita. All’inizio è stata dura, lo ammetto, avevo nostalgia di quei giovani con uno straccio di futuro in tasca. Adagio: non è che mi mancasse quel buco di scuola. No, però all’inizio mi mancava l’euforia di quando spieghi e ti accorgi che delle volte quegli squinternati stanno anche attenti, gli piace persino quello che racconti: allora la nebbia in banchi si dirada. E se ti fermi ad ascoltare il rimbalzo delle tue parole, dentro quegli encefali senti come dei muri che vengono giù. Lo capisci dalla polvere che resta sui banchi, che i bidelli si guardano bene dal pulire: sennò come fai a capire che hai lasciato il segno? E allora ti convinci davvero che dietro quei milleduecentocinquantacinque euro – ultimo stipendio pervenuto, comprensivo di assegni familiari – sta una vocazione da frate in quel di Islamabad, da infermiera che assiste lebbrosi sul corso inferiore del Congo. E a quel punto tutto ti sembra normale, anzi persino bello.
 

10 Commenti

  • Claudio Calzana Posted 3 Ottobre 2011 19:26

    Qui oscilliamo tutti quanti….

  • Ferruccio Posted 3 Ottobre 2011 17:24

    Che bello ! Che emozione riviverTi e rivivermi. Chissà… in modo diverso, come vedi io ci sono sempre ricascato nel mio fare il dirigente …

  • Claudio Calzana Posted 3 Ottobre 2011 17:17

    Per anonimo in cima alla lista: è verissimo quel che scrivi, i profe che lasciano il segno sono fondamentali, io ne sono la prova vivente se ripenso, con affetto, al mio professore di storia e filosofia, Enzo Quarenghi.

  • Claudio Calzana Posted 3 Ottobre 2011 17:15

    Per Bepz: sul tono ti do ragione al 100%. Il tono quello te lo tiri dietro, non c'è personaggio che tenga.

  • Claudio Calzana Posted 3 Ottobre 2011 17:14

    Per Vito: grazie per aver sottolineato una frase cui tengo molto, e che nell'economia del racconto è fondamentale. Lo scoprirai domani…

  • Anonymous Posted 3 Ottobre 2011 15:19

    Caro Claudio, precisazione colta e, per così dire, messa da parte… molto interessante.
    Allora, mettiamola così: può il mio commento valere con riferimento al tono utilizzato dal protagonista del tuo racconto? Che poi secondo me non è così lontano da un certo prof di storia e filosofia che conosco…
    Il Bepz

  • Vito Posted 3 Ottobre 2011 14:38

    Bella l’immagine della polvere dei muri che crollano che rimane sui banchi!
    Deve essere veramente bello e realmente motivante ( al di là degli stipendi scandalosamente bassi) accorgersi che qualcuno ha voglia di ascoltarti e che ha fiducia in te, cercando di cogliere dalle tue parole stimoli e suggestioni nuove!

  • Claudio Calzana Posted 3 Ottobre 2011 14:29

    Ehi, Beps, attenzione,a non confondere i piani: anche quando scrivo di ciò che ho vissuto da vicino, il punto di vista del personaggio non coincide con il mio; o il mio con quello del personaggio, se preferisci. Le voci che mi salgono da dentro hanno tutta una storia che mi guardo bene dal sindacare. Guai a dir loro cosa devono dire, è la volta che ti salutano e non si fanno più sentire. E allora addio scrittore, of course.

  • Beps Posted 3 Ottobre 2011 14:28

    Bello… veramente molto bello… sa un po' di dialogo con lo specchio…

  • Anonymous Posted 3 Ottobre 2011 14:19

    Coinvolgente, davvero.
    La mia opinione: son pochi i profs che lasciano il segno, che abbattono i muri nelle teste, che sono "chiamati" alla professione.
    Però questi lasciano un segno più marcato di quanto credano…
    Già…

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